domenica 3 aprile 2011

Astenia

Da alcuni giorni sono attanagliata da una stanchezza incredibile; probabilmente sono gli arretrati di sonno che iniziano a farsi sentire imponendomi, mio malgrado, il riposo.
Faccio fatica a scrivere, a leggere, ad elucubrare. Questo mi infastidisce perché avrei molto da dire, ma non riesco a dare forma ai miei pensieri.
Forse avrei bisogno di stare un po' più fuori, all'aria aperta...difatti ora scrivo in giardino, visto che il tempo è ottimo.
La primavera sembra essere esplosa in un momento: vedo le piante fiorite; le prime gemme sugli alberi; i fiori nei prati...la natura che si sta svegliando quando, fino a poco fa non sembrava volersi scrollare di dosso gli artigli gelidi dell'inverno. Forse sono io che vivo in un'altra dimensione; troppo assorta nelle mie riflessioni e in me stessa per rendermi conto di quello che mi accade intorno.
Questa mia natura introspettiva spesso è più un difetto che un pregio e mi porta ad estraniarmi rispetto al mondo che mi circonda nelle immediate vicinanze; un mondo di cui, in fondo, non me ne è mai importato nulla; un mondo fatto di motivazioni superficiali ed inutili; un mondo di idioti che si perdono in questioni idiote relative ad altri idioti, altrettanto ignari di esserlo e convinti di aver trovato ragioni più che valide per vivere.
Questa mia natura di anacoreta, amante del silenzio e della solitudine, è poco idonea al chiasso di cui le persone amano circondarsi.
E, pur soffrendone alle volte, so che la mia parziale estraniazione dal mondo è l'unico mezzo per conservare quella tensione necessaria che mi consente di meditare, di creare, di dare forma ai miei pensieri e alle parole che mi rimbalzano nella testa.
Se è vero che soffrire è produrre conoscenza, allora questa mia sofferenza della solitudine un po' subita e un po' auto imposta, non può che essere accettata e desiderata quale mezzo di crescita e di evoluzione...che sembra un po' una contraddizione in termini, visto che non può esserci crescita senza l'altro; senza l'interazione col mondo.
E quel desiderio dell'altro che è totale, assoluto, oppure nullo; o è troppo, o è troppo poco. Senza vie di mezzo...come sono io, del resto. Bisognosa di un desiderio talmente forte da sostenermi; su cui poter poggiare i piedi, per questo deve essere assoluto, prepotente, estremo. Ciò che la maggior parte dei rapporti umani non può essere; eccetto il rapporto con me stessa, feroce, combattuto, sofferto, accondiscendente, sprezzante, ficcante, sferzante, esigente....
Scrivere e pensare sono due delle poche cose che mi fanno ancora stare bene, anche se non so scrivere e nella mia mente non si annidano altro che idee balzane. Da qualche mese strimpello la chitarra, quindi si è aggiunta una nuova attività a darmi piacere. I risultati sono penosi, ma cantare accompagnandomi con la chitarra mi distende. Ho provato anche a musicare alcune mie poesie...senza prendermi troppo sul serio, s'intende, ma è stato un modo carino per trascorrere qualche ora serena.
Per il resto sento di non potermi concedere il lusso di una banale, frivola felicità. In fondo la gente è felice quando è inconsapevole, e la mia stagione di inconsapevolezza l'ho superata da un po'; dal momento in cui ho perso l'illusione che la felicità fosse lì, pronta per essere colta come un frutto dall'albero.
Magari quella agognata felicità esiste anche, ma non riesco a concepirla se non come il risultato di sforzi immani e mirati a raggiungerla. La felicità non è dovuta e, in fondo, altro non è che una condizione interiore.
Tutte le mie aspettative di un tempo si sono via via infrante contro una scogliera di verità a me, sino ad allora, ignote. Ma se dovessi scegliere tra il mio essere di un tempo, ignara ed illusa, e quel che sono oggi, sicuramente non esiterei. Preferisco di gran lunga la consapevolezza, per quanto dolorosa, perché è un passo verso la verità; verso una verità acquisita tramite l'esperienza e non inserita nel pacchetto all inclusive che ti viene propinato appena metti la testa fuori dal guscio.
Ogni volta che pubblico di questi sfoghi, un po' me ne pento. Vorrei parlare di cose più importanti di queste, di interesse comune e non di bieco individualismo e protagonismo...che detto da un'esibizionista come me è sicuramente preoccupante. Ma, in fondo, che cosa è un uomo per dare importanza ai suoi inverni, anche quando sono già così numerosi da fargli piegare il capo come una pesante nevicata? Tanti altri uomini hanno vissuto e vivranno la stessa storia, per diventare erba sui colli.