Da alcuni giorni sono attanagliata da
una stanchezza incredibile; probabilmente sono gli arretrati di sonno
che iniziano a farsi sentire imponendomi, mio malgrado, il riposo.
Faccio fatica a scrivere, a leggere, ad
elucubrare. Questo mi infastidisce perché avrei molto da dire, ma
non riesco a dare forma ai miei pensieri.
Forse avrei bisogno di stare un po' più
fuori, all'aria aperta...difatti ora scrivo in giardino, visto che il
tempo è ottimo.
La primavera sembra essere esplosa in
un momento: vedo le piante fiorite; le prime gemme sugli alberi; i
fiori nei prati...la natura che si sta svegliando quando, fino a poco
fa non sembrava volersi scrollare di dosso gli artigli gelidi
dell'inverno. Forse sono io che vivo in un'altra dimensione; troppo
assorta nelle mie riflessioni e in me stessa per rendermi conto di
quello che mi accade intorno.
Questa mia natura introspettiva spesso
è più un difetto che un pregio e mi porta ad estraniarmi rispetto
al mondo che mi circonda nelle immediate vicinanze; un mondo di cui,
in fondo, non me ne è mai importato nulla; un mondo fatto di
motivazioni superficiali ed inutili; un mondo di idioti che si
perdono in questioni idiote relative ad altri idioti, altrettanto
ignari di esserlo e convinti di aver trovato ragioni più che valide
per vivere.
Questa mia natura di anacoreta, amante
del silenzio e della solitudine, è poco idonea al chiasso di cui le
persone amano circondarsi.
E, pur soffrendone alle volte, so che
la mia parziale estraniazione dal mondo è l'unico mezzo per
conservare quella tensione necessaria che mi consente di meditare, di
creare, di dare forma ai miei pensieri e alle parole che mi
rimbalzano nella testa.
Se è vero che soffrire è produrre
conoscenza, allora questa mia sofferenza della solitudine un po'
subita e un po' auto imposta, non può che essere accettata e
desiderata quale mezzo di crescita e di evoluzione...che sembra un
po' una contraddizione in termini, visto che non può esserci
crescita senza l'altro; senza l'interazione col mondo.
E quel desiderio dell'altro che è
totale, assoluto, oppure nullo; o è troppo, o è troppo poco. Senza
vie di mezzo...come sono io, del resto. Bisognosa di un desiderio
talmente forte da sostenermi; su cui poter poggiare i piedi, per
questo deve essere assoluto, prepotente, estremo. Ciò che la maggior
parte dei rapporti umani non può essere; eccetto il rapporto con me
stessa, feroce, combattuto, sofferto, accondiscendente, sprezzante,
ficcante, sferzante, esigente....
Scrivere e pensare sono due delle poche
cose che mi fanno ancora stare bene, anche se non so scrivere e nella
mia mente non si annidano altro che idee balzane. Da qualche mese
strimpello la chitarra, quindi si è aggiunta una nuova attività a
darmi piacere. I risultati sono penosi, ma cantare accompagnandomi
con la chitarra mi distende. Ho provato anche a musicare alcune mie
poesie...senza prendermi troppo sul serio, s'intende, ma è stato un
modo carino per trascorrere qualche ora serena.
Per il resto sento di non potermi
concedere il lusso di una banale, frivola felicità. In fondo la
gente è felice quando è inconsapevole, e la mia stagione di
inconsapevolezza l'ho superata da un po'; dal momento in cui ho perso
l'illusione che la felicità fosse lì, pronta per essere colta come
un frutto dall'albero.
Magari quella agognata felicità esiste
anche, ma non riesco a concepirla se non come il risultato di sforzi
immani e mirati a raggiungerla. La felicità non è dovuta e, in
fondo, altro non è che una condizione interiore.
Tutte le mie aspettative di un tempo si
sono via via infrante contro una scogliera di verità a me, sino ad
allora, ignote. Ma se dovessi scegliere tra il mio essere di un
tempo, ignara ed illusa, e quel che sono oggi, sicuramente non
esiterei. Preferisco di gran lunga la consapevolezza, per quanto
dolorosa, perché è un passo verso la verità; verso una verità
acquisita tramite l'esperienza e non inserita nel pacchetto all
inclusive che ti viene propinato appena metti la testa fuori dal
guscio.
Ogni volta che pubblico di questi
sfoghi, un po' me ne pento. Vorrei parlare di cose più importanti di
queste, di interesse comune e non di bieco individualismo e
protagonismo...che detto da un'esibizionista come me è sicuramente
preoccupante. Ma, in fondo, che cosa è un uomo per dare importanza
ai suoi inverni, anche quando sono già così numerosi da fargli
piegare il capo come una pesante nevicata? Tanti altri uomini hanno
vissuto e vivranno la stessa storia, per diventare erba sui colli.