Era l’aprile del 1998 quando in un
gelido e uggioso pomeriggio mi avvicinai all’esterno di un negozio
di souvenir per guardare le stampe che erano esposte a terra, tenute
ferme da pesi che impedivano alle incessanti raffiche di mistral di
portarsele via come foglie secche dagli alberi autunnali.
Quelle stampe erano riproduzioni di
opere d’arte nelle quali spiccavano colori intensi che non erano in
nulla dissimili ai colori di quella terra nei giorni di sole.
Quasi tutti i negozi esponevano simili
riproduzioni realizzate su carta; stoffa o qualunque altro materiale
e su qualsiasi tipo di oggetto su cui potesse valere la pena farlo.
Ignoravo chi fossero gli autori di tali
opere. Alcuni pittori francesi, a giudicare dai nomi, forse autoctoni
o che dovettero avere un qualche legame con quelle terre tanto da
meritare che le loro opere fossero riprodotte ovunque nei negozi di
souvenir di Arles.
Rimasi per alcuni minuti a vagare con
lo sguardo sulle stampe; tutte molto belle al punto da confondere e
impedire quasi di fissarsi su una specifica quando fui
improvvisamente rapita da una prevalenza di blu sul quale spiccava
intensamente il giallo. Montagne sullo sfondo e un paese addormentato
sotto un cielo quasi onirico, immenso; agitato da onde e astri
notturni raffigurati in maniera estremamente suggestiva.
In calce alla stampa era riportato il
nome “ Vincent Van Gogh”.
Rimasi ad ammirare a lungo, quasi
ipnotizzata, quel cielo improbabile. Mi colpì profondamente.
Il cielo notturno ha sempre esercitato
su di me un fascino magnetico e sin da bambina ho sempre amato
contemplarlo e immergermi in esso come in un abisso, al punto da
perdere ogni contatto o punto di riferimento e provare un senso di
smarrimento profondo nei confronti di tale immensa vastità.
Partendo da questi presupposti fu
difficilissimo per me restare insensibile al fascino di quella
raffigurazione mirabile che è la “ Notte stellata” di Van Gogh.
Fu così che lo conobbi Vincent Van
Gogh, in quella terra che tanto aveva ispirato la sua produzione
artistica, la Provenza. In un giorno cupo ed insolito per quei luoghi
fatti di sole e colori intensi e dai profumi di lavanda che pervadono
l’anima.
Curiosamente, in quell’occasione, me
ne andai con una natura morta di Cézanne; bella, pregevole. Non l’ho
mai appesa; è ancora là da qualche parte, dimenticata per sempre.
Acquistai Cézanne pur essendomi
completamente persa per Van Gogh. Non saprei spiegare il perché.
Per quale ragione ero rimasta catturata
da un pittore olandese che dipingeva un paesaggio notturno
conferendogli i tratti magici del sogno; che era in grado di
trasmettere in maniera intensa ed immediata l’incanto di un cielo
stellato, non ero in grado di comprenderlo. Forse non osai prendere
la “Notte stellata” perché provavo un timore quasi reverenziale
verso un’opera che sapeva parlare al mio cuore in maniera tanto
diretta.
Per tutto il viaggio di ritorno mi
sentii quasi pentita per non aver preso Van Gogh. Non comperai la
stampa ma da quel giorno un uomo e la sua arte mi si sono impressi
indelebilmente nell’anima. Un incontro che mi ha cambiato la vita (
non esagero ) quello con Vincent Van Gogh.
Nelle mie fasi riflessive io avverto
l’improrogabile necessità di parlarci e di lasciarmi parlare; ho
il bisogno di ritagliarmi uno spazio e mettermi dinnanzi ad un Van
Gogh in adorazione mistica; ho necessità di questo culto idolatra
che mi consente di penetrare il mistero.
Sovente mi capita di soffermarmi sul “
Campo di grano con volo di corvi”; indubbiamente il dipinto che più
amo e che più mi sa trasmettere emozioni.
Uno degli ultimi quadri di Van Gogh. È
stato anche definito il suo testamento e bla bla bla…scusate ma a
me interessa tutt’un’altra faccenda in quest’opera. Mi
interessa la tensione emotiva con la quale è stata dipinta e qui
devo addentrarmi nella disperazione di un’anima. Operazione
estremamente delicata e tutt’altro che semplice. Scriveva Emily
Dickinson:” A un cuore in pezzi / Nessuno si avvicini / Senza
l’alto privilegio / Di avere sofferto altrettanto.”
Per comprendere la disperazione di Van
Gogh bisogna dunque avvicinarsi al suo dramma esistenziale…ma è
veramente possibile comprenderlo senza averlo mai sperimentato?
Questo è un grande dilemma: noi siamo veramente in grado di sentire
come qualcun altro, oppure la percezione e la sensazione sono
altamente soggettive? Io credo che se nell’essenza siamo
fondamentalmente tutti uguali, possiamo facilmente immedesimarci
negli altri…tuttavia c’è una dose di soggettività nelle nostre
percezioni che non potrà mai rendere il sentire di due individui
identico.
Quando guardo il “ Campo di grano con
volo di corvi”, ho la sensazione che Van Gogh quella tela più che
dipingerla avrebbe voluto strapparla.
Credo non esista un’espressione più
cupa e devastante di disperazione.
Le pennellate violente; i colori
aggressivi; il contrasto del cielo tempestoso e oscuro con il giallo
intenso del campo che è agitato, dà quasi un’idea di movimento
insieme alle figure minacciose dei corvi neri che volano verso chi
osserva; i sentieri tortuosi che si dipanano attraverso il campo di
grano e si disperdono nell’ignoto, nel nulla.
Che senso di disagio mi trasmette quel
cielo! Quei colpi di pennello grezzi, confusi; quelle tinte cupe e
quelle figure…nuvole? Astri?
La vita che se ne va simboleggiata dai
corvi che si alzano in volo. E quei sentieri che conducono in nessun
luogo….
Personalmente considero questo dipinto
l’ennesimo autoritratto di Van Gogh e forse il più introspettivo,
il più autentico: il ritratto della sua anima.
Da non sottovalutare la potenza
espressiva di un “ Autoritratto” del 1889; forse il migliore, in
cui lo sguardo allucinato del pittore colpisce veramente per
intensità.
Tuttavia il “ Campo di grano con volo
di corvi” è forse il più riuscito nel raffigurare uno stato
mentale ed emotivo. La forte contrapposizione dei colori è stata
considerata la contrapposizione stessa tra la vita e la morte ma io
credo volesse anche sottolineare un conflitto interiore profondo; un
contrasto emotivo vigoroso.
I sentieri che si snodano contorti e
furiosi da un immaginario crocevia che si lascia solo intuire
all’occhio di chi osserva; tre sentieri che conducono in tre
direzioni totalmente opposte, distanti, inconciliabili. Nemmeno un
bivio ma un trivio…nemmeno un trivio esattamente perché i sentieri
non conducono al crocevia ma si dipartono da esso. Le strade ritratte
sono tre ma si presuppone l’esistenza di una quarta almeno, ed è
quella da cui si proviene. Il punto di osservazione è l’incrocio
ma si presume che il pittore vi sia giunto per mezzo di un ulteriore
sentiero alle sue spalle.
Per proseguire il cammino bisogna
scegliere una via. Quale? Tutte e tre le strade sono tortuose,
pressoché identiche e conducono in luoghi differenti che non ci è
dato modo di conoscere; si perdono verso il nulla; sentieri di cui
non è possibile conoscere la meta…e il sentiero da cui si proviene
è totalmente occultato alla vista, è il passato non più
percorribile.
Il presente è il crocevia; un punto di
sosta, di stallo obbligato perché il sentiero si dirama e costringe
ad una scelta per poter proseguire.
VAN GOGH E FROST…UN POSSIBILE
RAFFRONTO?
Mi si impongono una riflessione ed un
accostamento, forse azzardati, tra questo dipinto di Van Gogh e “
Stopping by woods on a snowy evening” di Frost. In entrambi noto il
tema dello stallo; della fermata. Come una pausa riflessiva riferita
ad un futuro immediato che nei due artisti ha esiti diametralmente
opposti.
In Frost, il fascino magnetico dello
stallo, dell’abbandonarsi al sonno e interrompere il cammino è
superato e vinto dalla necessità di tornare ad assolvere le proprie
promesse ( scopi ben precisi e delineati nella propria vita ),
dall’esigenza di rimettersi in viaggio, di vivere e reagire
attivamente all’apatia. Quindi un esito positivo.
In Van Gogh abbiamo un blocco assoluto.
L’osservatore è immobile, impotente dinnanzi allo stormo di corvi
che sta per investirlo ( la morte? ).
Ma l’aspetto inquietante che
sottolinea la disperazione estrema di questo stato mentale è
l’impossibilità di sottrarvisi: impossibile avanzare senza
compiere una scelta precisa che, tuttavia ha esiti ignoti, non
conduce da nessuna parte presumibilmente se non al dolore e
all’inquietudine ( i sentieri tortuosi e il cielo tempestoso );
impossibile tornare indietro ( il passato non è ripercorribile );
impossibile restare fermi per sempre con la minaccia dei corvi che
incombe.
Un po’ come in quegli incubi in cui
ci si vede impossibilitati a sfuggire da un pericolo imminente perché
le gambe non ci consentono di correre o di muoverci; la sensazione
della preda senza scampo…in questo caso un’anima preda del
destino; chiusa all’angolo o meglio: nel bel mezzo delle
possibilità ( non un bivio ma più opzioni di scelta ) e
dell’abbondanza ( il grano maturo ) che può solamente essere
costeggiata ma non raggiunta poiché le vie conducono oltre.
È una condizione che non lascia via di
scampo, assolutista ed estrema.
Un presagio di morte in cui l’io del
pittore è abbandonato a sé; alla solitudine dell’osservatore
impotente che è immerso sì nella scena ma senza possibilità
d’azione; senza alcuna voce in capitolo se non nell’atto passivo.
In Frost, quantomeno, il protagonista
ha con sé il proprio cavallo; presumibile simbolo della razionalità,
che lo aiuta a schiodarsi da una condizione passiva per entrare in
azione e riprendere il cammino. Van Gogh è solo. Completamente,
disperatamente, assolutamente solo; abbandonato persino dalla
ragione.
Inoltre, con Frost, ci troviamo davanti
ad una possibilità di scelta vera e propria ( o fermarsi o
proseguire. Dove fermarsi equivale a morire, mentre riprendere il
cammino significa vivere; adempiere a doveri e scopi; ricongiungersi
agli affetti ); con Van Gogh non abbiamo alternative: davanti tante
strade che conducono alla disperazione…val la pena avanzare? Non
resta che attendere la morte che sta sopraggiungendo; è solo
questione di tempo.
In questa tela, in realtà, Van Gogh
non si pone la domanda:” Vale la pena avanzare?” Lui ha già la
sua risposta.
Sono molteplici i simbolismi di questo
dipinto e svariate le interpretazioni…potremmo dilungarci a lungo
nell’analizzarle tutte e nell’analizzare quello che mi trasmette
ogni volta che lo osservo.
Resta il fatto che considero questo “
Campo di grano con volo di corvi” un quadro stupendo;
raffigurazione perfetta della disperazione di un uomo. Sintesi
sublime di un’anima lacerata.