giovedì 10 dicembre 2009

Il ritratto della disperazione

Era l’aprile del 1998 quando in un gelido e uggioso pomeriggio mi avvicinai all’esterno di un negozio di souvenir per guardare le stampe che erano esposte a terra, tenute ferme da pesi che impedivano alle incessanti raffiche di mistral di portarsele via come foglie secche dagli alberi autunnali.
Quelle stampe erano riproduzioni di opere d’arte nelle quali spiccavano colori intensi che non erano in nulla dissimili ai colori di quella terra nei giorni di sole.
Quasi tutti i negozi esponevano simili riproduzioni realizzate su carta; stoffa o qualunque altro materiale e su qualsiasi tipo di oggetto su cui potesse valere la pena farlo.
Ignoravo chi fossero gli autori di tali opere. Alcuni pittori francesi, a giudicare dai nomi, forse autoctoni o che dovettero avere un qualche legame con quelle terre tanto da meritare che le loro opere fossero riprodotte ovunque nei negozi di souvenir di Arles.
Rimasi per alcuni minuti a vagare con lo sguardo sulle stampe; tutte molto belle al punto da confondere e impedire quasi di fissarsi su una specifica quando fui improvvisamente rapita da una prevalenza di blu sul quale spiccava intensamente il giallo. Montagne sullo sfondo e un paese addormentato sotto un cielo quasi onirico, immenso; agitato da onde e astri notturni raffigurati in maniera estremamente suggestiva.
In calce alla stampa era riportato il nome “ Vincent Van Gogh”.
Rimasi ad ammirare a lungo, quasi ipnotizzata, quel cielo improbabile. Mi colpì profondamente.
Il cielo notturno ha sempre esercitato su di me un fascino magnetico e sin da bambina ho sempre amato contemplarlo e immergermi in esso come in un abisso, al punto da perdere ogni contatto o punto di riferimento e provare un senso di smarrimento profondo nei confronti di tale immensa vastità.
Partendo da questi presupposti fu difficilissimo per me restare insensibile al fascino di quella raffigurazione mirabile che è la “ Notte stellata” di Van Gogh.
Fu così che lo conobbi Vincent Van Gogh, in quella terra che tanto aveva ispirato la sua produzione artistica, la Provenza. In un giorno cupo ed insolito per quei luoghi fatti di sole e colori intensi e dai profumi di lavanda che pervadono l’anima.
Curiosamente, in quell’occasione, me ne andai con una natura morta di Cézanne; bella, pregevole. Non l’ho mai appesa; è ancora là da qualche parte, dimenticata per sempre.
Acquistai Cézanne pur essendomi completamente persa per Van Gogh. Non saprei spiegare il perché.
Per quale ragione ero rimasta catturata da un pittore olandese che dipingeva un paesaggio notturno conferendogli i tratti magici del sogno; che era in grado di trasmettere in maniera intensa ed immediata l’incanto di un cielo stellato, non ero in grado di comprenderlo. Forse non osai prendere la “Notte stellata” perché provavo un timore quasi reverenziale verso un’opera che sapeva parlare al mio cuore in maniera tanto diretta.
Per tutto il viaggio di ritorno mi sentii quasi pentita per non aver preso Van Gogh. Non comperai la stampa ma da quel giorno un uomo e la sua arte mi si sono impressi indelebilmente nell’anima. Un incontro che mi ha cambiato la vita ( non esagero ) quello con Vincent Van Gogh.
Nelle mie fasi riflessive io avverto l’improrogabile necessità di parlarci e di lasciarmi parlare; ho il bisogno di ritagliarmi uno spazio e mettermi dinnanzi ad un Van Gogh in adorazione mistica; ho necessità di questo culto idolatra che mi consente di penetrare il mistero.
Sovente mi capita di soffermarmi sul “ Campo di grano con volo di corvi”; indubbiamente il dipinto che più amo e che più mi sa trasmettere emozioni.
Uno degli ultimi quadri di Van Gogh. È stato anche definito il suo testamento e bla bla bla…scusate ma a me interessa tutt’un’altra faccenda in quest’opera. Mi interessa la tensione emotiva con la quale è stata dipinta e qui devo addentrarmi nella disperazione di un’anima. Operazione estremamente delicata e tutt’altro che semplice. Scriveva Emily Dickinson:” A un cuore in pezzi / Nessuno si avvicini / Senza l’alto privilegio / Di avere sofferto altrettanto.”
Per comprendere la disperazione di Van Gogh bisogna dunque avvicinarsi al suo dramma esistenziale…ma è veramente possibile comprenderlo senza averlo mai sperimentato? Questo è un grande dilemma: noi siamo veramente in grado di sentire come qualcun altro, oppure la percezione e la sensazione sono altamente soggettive? Io credo che se nell’essenza siamo fondamentalmente tutti uguali, possiamo facilmente immedesimarci negli altri…tuttavia c’è una dose di soggettività nelle nostre percezioni che non potrà mai rendere il sentire di due individui identico.
Quando guardo il “ Campo di grano con volo di corvi”, ho la sensazione che Van Gogh quella tela più che dipingerla avrebbe voluto strapparla.
Credo non esista un’espressione più cupa e devastante di disperazione.
Le pennellate violente; i colori aggressivi; il contrasto del cielo tempestoso e oscuro con il giallo intenso del campo che è agitato, dà quasi un’idea di movimento insieme alle figure minacciose dei corvi neri che volano verso chi osserva; i sentieri tortuosi che si dipanano attraverso il campo di grano e si disperdono nell’ignoto, nel nulla.
Che senso di disagio mi trasmette quel cielo! Quei colpi di pennello grezzi, confusi; quelle tinte cupe e quelle figure…nuvole? Astri?
La vita che se ne va simboleggiata dai corvi che si alzano in volo. E quei sentieri che conducono in nessun luogo….
Personalmente considero questo dipinto l’ennesimo autoritratto di Van Gogh e forse il più introspettivo, il più autentico: il ritratto della sua anima.
Da non sottovalutare la potenza espressiva di un “ Autoritratto” del 1889; forse il migliore, in cui lo sguardo allucinato del pittore colpisce veramente per intensità.
Tuttavia il “ Campo di grano con volo di corvi” è forse il più riuscito nel raffigurare uno stato mentale ed emotivo. La forte contrapposizione dei colori è stata considerata la contrapposizione stessa tra la vita e la morte ma io credo volesse anche sottolineare un conflitto interiore profondo; un contrasto emotivo vigoroso.
I sentieri che si snodano contorti e furiosi da un immaginario crocevia che si lascia solo intuire all’occhio di chi osserva; tre sentieri che conducono in tre direzioni totalmente opposte, distanti, inconciliabili. Nemmeno un bivio ma un trivio…nemmeno un trivio esattamente perché i sentieri non conducono al crocevia ma si dipartono da esso. Le strade ritratte sono tre ma si presuppone l’esistenza di una quarta almeno, ed è quella da cui si proviene. Il punto di osservazione è l’incrocio ma si presume che il pittore vi sia giunto per mezzo di un ulteriore sentiero alle sue spalle.
Per proseguire il cammino bisogna scegliere una via. Quale? Tutte e tre le strade sono tortuose, pressoché identiche e conducono in luoghi differenti che non ci è dato modo di conoscere; si perdono verso il nulla; sentieri di cui non è possibile conoscere la meta…e il sentiero da cui si proviene è totalmente occultato alla vista, è il passato non più percorribile.
Il presente è il crocevia; un punto di sosta, di stallo obbligato perché il sentiero si dirama e costringe ad una scelta per poter proseguire.

VAN GOGH E FROST…UN POSSIBILE RAFFRONTO?
Mi si impongono una riflessione ed un accostamento, forse azzardati, tra questo dipinto di Van Gogh e “ Stopping by woods on a snowy evening” di Frost. In entrambi noto il tema dello stallo; della fermata. Come una pausa riflessiva riferita ad un futuro immediato che nei due artisti ha esiti diametralmente opposti.
In Frost, il fascino magnetico dello stallo, dell’abbandonarsi al sonno e interrompere il cammino è superato e vinto dalla necessità di tornare ad assolvere le proprie promesse ( scopi ben precisi e delineati nella propria vita ), dall’esigenza di rimettersi in viaggio, di vivere e reagire attivamente all’apatia. Quindi un esito positivo.
In Van Gogh abbiamo un blocco assoluto. L’osservatore è immobile, impotente dinnanzi allo stormo di corvi che sta per investirlo ( la morte? ).
Ma l’aspetto inquietante che sottolinea la disperazione estrema di questo stato mentale è l’impossibilità di sottrarvisi: impossibile avanzare senza compiere una scelta precisa che, tuttavia ha esiti ignoti, non conduce da nessuna parte presumibilmente se non al dolore e all’inquietudine ( i sentieri tortuosi e il cielo tempestoso ); impossibile tornare indietro ( il passato non è ripercorribile ); impossibile restare fermi per sempre con la minaccia dei corvi che incombe.
Un po’ come in quegli incubi in cui ci si vede impossibilitati a sfuggire da un pericolo imminente perché le gambe non ci consentono di correre o di muoverci; la sensazione della preda senza scampo…in questo caso un’anima preda del destino; chiusa all’angolo o meglio: nel bel mezzo delle possibilità ( non un bivio ma più opzioni di scelta ) e dell’abbondanza ( il grano maturo ) che può solamente essere costeggiata ma non raggiunta poiché le vie conducono oltre.
È una condizione che non lascia via di scampo, assolutista ed estrema.
Un presagio di morte in cui l’io del pittore è abbandonato a sé; alla solitudine dell’osservatore impotente che è immerso sì nella scena ma senza possibilità d’azione; senza alcuna voce in capitolo se non nell’atto passivo.
In Frost, quantomeno, il protagonista ha con sé il proprio cavallo; presumibile simbolo della razionalità, che lo aiuta a schiodarsi da una condizione passiva per entrare in azione e riprendere il cammino. Van Gogh è solo. Completamente, disperatamente, assolutamente solo; abbandonato persino dalla ragione.
Inoltre, con Frost, ci troviamo davanti ad una possibilità di scelta vera e propria ( o fermarsi o proseguire. Dove fermarsi equivale a morire, mentre riprendere il cammino significa vivere; adempiere a doveri e scopi; ricongiungersi agli affetti ); con Van Gogh non abbiamo alternative: davanti tante strade che conducono alla disperazione…val la pena avanzare? Non resta che attendere la morte che sta sopraggiungendo; è solo questione di tempo.
In questa tela, in realtà, Van Gogh non si pone la domanda:” Vale la pena avanzare?” Lui ha già la sua risposta.
Sono molteplici i simbolismi di questo dipinto e svariate le interpretazioni…potremmo dilungarci a lungo nell’analizzarle tutte e nell’analizzare quello che mi trasmette ogni volta che lo osservo.
Resta il fatto che considero questo “ Campo di grano con volo di corvi” un quadro stupendo; raffigurazione perfetta della disperazione di un uomo. Sintesi sublime di un’anima lacerata.

domenica 6 dicembre 2009

Ho voglia d'immenso;
desiderio di pioggia, temporale notturno.
Come ricordi di un tempo estinto
in cui quella sensazione di piacevole torpore
era un'intimità assoluta e confortante
con il sapore dolce del sonno.
L'odore dell'aria,
quell'umidità placida che avvolge la notte
e la complicità rara 
di parole sussurrate al buio.
La perfezione metafisica di un attimo irripetibile,
e voglia di affondarci la testa
e timore di dimenticare l'estasi irreale 
del sogno- realtà.