mercoledì 2 maggio 2012

Lentamente muore

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente
chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo
quando è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita,
di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore
chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce o non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza
porterà al raggiungimento di una splendida felicità.


( Martha Medeiros )

giovedì 5 aprile 2012

Your true colors are beautiful



COLORI VERI

Tu con gli occhi tristi
non scoraggiarti
Oh ho capito che
è difficile prendere coraggio
in un mondo pieno di gente
puoi perdere tutto di vista
e l'oscurità dentro te
può farti sentire così piccolo

ma io vedo i tuoi colori veri

risplendere dentro te
vedo i tuoi colori veri
ed è per questo che ti amo
quindi non avere paura
di mostrarli
I tuoi colori veri
I colori veri sono bellissimi
come un arcobaleno

mostrami un sorriso allora,

non essere triste, non riesco a ricordare
l'ultima volta che ti ho visto ridere
se questo mondo ti fa impazzire
ed hai già preso tutto ciò che
riesci a sopportare
puoi chiamarmi
perché sai che io sarò lì per te

e io vedo i tuoi colori veri

risplendere dentro te
vedo i tuoi colori veri
ed è per questo che ti amo
quindi non avere paura
di mostrarli
I tuoi colori veri
I colori veri sono bellissimi
come un arcobaleno.

mercoledì 7 dicembre 2011

La scuola dell'ignoranza

Che tristezza vedere come la scuola riesca a distruggere la conoscenza!
Sì, proprio la scuola, e cioè quell'ente che dovrebbe preoccuparsi, invece, di divulgare la conoscenza e farla amare al fine di generare individui istruiti e consapevoli.
La scuola a qualunque livello è divenuta ormai solo il mezzo obbligatorio per mezzo del quale ottenere l'indispensabile “pezzo di carta” con cui poter accedere al mondo del lavoro ed ambire ad una posizione migliore.
Peccato che la scuola a tutti i livelli, università compresa, non sappia formare veramente le persone e non sappia dar loro quello che veramente è necessario.
L'amore per la cultura è ormai asservito al sistema dei voti, dei crediti, dei debiti, dei programmi da portare a compimento entro la fine dell'anno a costo di obbligare gli studenti ad impararsi a memoria centinaia di pagine senza averci capito un tubo, solo in vista dell'esame, del compito in classe.
Tutto basato spesso sulla quantità e non sulla qualità.
Mi colgono il disgusto, la tristezza, quando navigando in rete trovo richieste di studenti ad altri studenti di riassunti di libri, di appunti, di tesine preconfezionate e pronte da stampare senza nemmeno leggerne il contenuto.... Ma che razza di scuola è questa? A cosa serve tutto ciò? Non sarebbe meglio, a questo punto, che i giovani, i ragazzi, restassero nella loro ignoranza?
La colpa non è loro, o delle famiglie, o dell'insegnante specifico. La colpa è di un sistema scolastico altamente scadente che non ha più nulla di utile da insegnare.
La scuola che non sa più motivare gli studenti, scuoterli, pungolarli ed appassionarli alla cultura, allo studio.
I voti sono necessari per valutare un allievo, certo. E' indispensabile disporre di un sistema di valutazione che consenta di comprendere chi si impegna e chi no, chi lavora e chi no, chi ha imparato e chi no, ma a volte ho come la sensazione che tutto sia divenuto subordinato al sistema di valutazione: il voto conta più dell'effettivo apprendimento. Che poi, apprendimento...puro nozionismo, diciamolo pure! Perché quella che è andata perduta è l'anima degli insegnamenti, l'essenza, il senso più profondo.
Che importanza ha il riassunto di un libro se non se n'è capito l'insegnamento? Ma non l'insegnamento dato dal professore, bensì quello insito nell'opera. Che senso ha rispondere ad un questionario standard per comprendere se l'alunno ha letto veramente un romanzo se non ha saputo cogliere le emozioni dell'autore ed il suo messaggio?
A me fanno rabbia i grandi capolavori della letteratura strumentalizzati e riadattati ai moderni sistemi di valutazione scolastici. E' come mettere una bomba in mano ad un bambino senza spiegargli di cosa possa essere capace, di quale sia la sua reale potenza e domandargli, molto banalmente, di descriverla.
La letteratura è un'arma, è uno strumento, è quanto di più utile possieda l'uomo per la sua sopravvivenza; mille volte più utile di un'automobile quando si deve compiere un viaggio, di un supermercato aperto fino a tardi quando si ha il frigo vuoto e niente per cena, più utile del denaro per comprarsi un'automobile o fare la spesa...su questo qualcuno potrebbe avere delle riserve. Che cazzo te ne fai della letteratura quando non hai i soldi per vivere? Vero.
Ma la storia dimostra che l'uomo può sopravvivere anche nelle peggiori condizioni fisiche e materiali, nelle carestie, nelle guerre, nelle crisi...provate, però, a togliergli i sogni, le speranze, i pensieri e lo ucciderete.

“COGITO ERGO SUM” ( Penso dunque sono ) diceva Cartesio.
Scuola, insegna ai tuoi allievi a pensare per poter essere e non a castrare la conoscenza e il sapere nei tuoi inutili voti del cazzo che non servono a salvare l'umanità, bensì ad intrappolarla nella schiavitù della dannazione eterna che si chiama ignoranza!

venerdì 2 settembre 2011

Fotografia post mortem

Sin dalle epoche più antiche l'uomo ha sempre allontanato da sé il timore della morte per mezzo di rituali e particolari cure riservate ai defunti, nell'intento di aiutarli a compiere il loro viaggio verso l'oltretomba e non infastidire i vivi dai quali la morte li aveva ineluttabilmente distaccati.
Il dolore per la perdita della persona cara ha sempre spinto gli uomini di tutte le culture e di tutti i tempi ( pare che già i Neanderthal seppellissero i loro morti lasciando vicino alle tombe simboli ed amuleti ) a prendersi cura delle salme e associando il fenomeno della morte a quello del sonno.
Non di rado, infatti, i cadaveri venivano posti nelle fosse, sui catafalchi funebri o sulle pire, come se stessero dormendo un sonno profondo...difatti la posizione orizzontale è generalmente assunta dall'uomo mentre riposa ( o quando è morto ); mentre cioè il suo corpo è inattivo.
Il dormiente non interagisce con il mondo esterno, nel sonno persino i parametri vitali rallentano e questo ricorda molto da vicino come il morto appare agli occhi di chi lo guarda: un individuo assorto, distaccato dalla realtà che lo circonda. Così come l'uomo che dorme è immerso nel mondo dei sogni, il morto è proiettato nel mondo ultraterreno. Per gli antichi, infatti, i sogni erano messaggi divini, direttamente provenienti dal sovrannaturale. Ricordiamo, ad esempio, l'episodio biblico narrato nella Genesi in cui Giuseppe, figlio di Giacobbe, interpretava gli angoscianti sogni del faraone; o ai “libri dei sogni” degli antichi egizi, giunti fino a noi per mezzo di alcuni papiri conservatisi...per non parlare poi della grande considerazione in cui i sogni erano tenuti dai popoli cosiddetti animisti e non solo.
Se quindi le visioni notturne, talvolta enigmatiche, talaltra terribili, accompagnavano il dormiente nel suo misterioso stato di isolamento dal mondo materiale ( un isolamento temporaneo ), di sicuro il defunto doveva potersi spingere ancora più in là, abbandonato definitivamente dal suo spirito che era migrato verso qualche universo spirituale e remoto, inaccessibile ai vivi.
A prescindere da quello che potesse accadere all'anima del caro estinto, in viaggio verso l'aldilà, spesso immaginato come una riproduzione del mondo terreno di gran lunga perfezionato, o talvolta come un mondo puramente spirituale, quello che più premeva a coloro che rimanevano in vita era il dolore straziante che la separazione provocava loro; l'incapacità di accettare che la persona amata non ci fosse più.
Tutti i rituali funebri, la cura della salma, le preghiere, le offerte al defunto, altro non sono state ( ed altro non sono ) in tutte le culture umane, che un modo per elaborare il lutto, cercare di dare alla perdita della persona cara un senso che la renda accettabile. Tra i dolori umani quello del lutto è sicuramente uno dei peggiori e dei più difficili da superare; la consapevolezza che la nostra vita ha un tempo limitato e il mistero di cosa potrebbe esserci dopo, ammesso che ci sia, angosciano da sempre l'essere umano che spesso ha trovato conforto nelle convinzioni di tipo religioso che tendono a dare rassicurazioni riguardo al fatto che con la morte non si assiste ad una fine, ma che si tratta sostanzialmente della chiusura di un ciclo e l'inizio di un altro in cui l'individuo non cessa di esistere, ma va “altrove”, o assume un'altra forma non più fisica pur conservando le caratteristiche intrinseche del suo essere individuo.
Indipendentemente dalle convinzioni di natura escatologica delle persone, la perdita di un familiare, di un amico, di una persona con la quale si sia condiviso un tratto di esistenza, l'accettazione del distacco passa per mezzo di una serie di rituali che comprendono la manipolazione della salma, il contatto reale e materiale con essa come se ancora fosse in vita. Questo implica l'iniziale rifiuto da parte di chi subisce il lutto di considerare la persona cara effettivamente morta.
Quando veniamo colpiti da un lutto, spesso, le reazioni possono essere di due tipi: il rifiutarsi di toccare o vedere la persona morta o, al contrario, il desiderio di starle il più possibile vicino e trattarla come se ancora fosse presente a tutti gli effetti, viva ed esistente.
Spesso nei rituali funebri delle varie culture vi è una componente di convivialità con il defunto, o di condivisione di aspetti festosi e quotidiani. Talvolta si può usare la veglia della salma o il banchetto in una stanza adiacente alla camera del morto che viene lasciata di proposito con la porta aperta affinché il defunto possa “partecipare” insieme a parenti ed amici.
Ogni popolo ha i suoi usi e costumi relativi alla morte, come alla vita.
Vi sono singolari tradizioni del mondo occidentale che spesso sono poco conosciute ai più e, addirittura, non sono ancora state completamente studiate e comprese.
Una di queste è la fotografia post mortem. Pare che questa singolare pratica si sia sviluppata in epoca vittoriana, e comunque intorno alla metà del XVIII secolo. Dal mondo anglosassone sembra poi essersi diffusa anche in alcune parti d'Europa; ad esempio nell'Europa dell'Est ed è rimasta in auge per un secolo. Le fotografie post mortem più recenti risalgono alla prima metà del '900.
Questa usanza consisteva nel ritrarre i defunti poco dopo il decesso, direttamente all'interno della bara posta nella camera ardente, oppure in atteggiamenti del tutto “vitali” e che poco lasciassero intuire del loro effettivo stato di trapassati.
A causa dell'alto tasso di mortalità infantile sono numerosissime le foto post mortem a noi sopraggiunte che ritraggono bambini; questi ultimi spesso venivano fotografati su un divano, a letto, o su un cuscino come se fossero assorti in un sonno profondo, attorniati dai giocattoli preferiti, dai fratelli e, talvolta, dagli animali domestici cui erano stati particolarmente affezionati in vita.
I neonati deceduti durante il parto o nei primi mesi di vita erano tantissimi e spesso venivano fotografati in braccio alla madre, nel lettino o in minuscole bare aperte, adornate di merletti e fiori.
Ma tante sono anche le fotografie che immortalano gli adulti, nei loro abiti migliori, siano essi stati di estrazione umile o benestante. Indipendentemente dai mezzi economici della famiglia, nessuno voleva rinunciare ad una fotografia che riprendesse il caro estinto e ne perpetuasse il ricordo.
In alcuni casi è possibile assistere a composizioni fotografiche di notevole pregio, nelle quali è quasi impossibile riconoscere il morto comodamente seduto ad un tavolo tra i parenti, o addirittura in piedi in compagnia di un familiare.
I fotografi del post mortem dovevano aver sviluppato nel tempo delle abilità considerevoli, non solo nello scatto delle foto, ma anche e soprattutto nella composizione delle salme e dei set.
Ricordiamo che scattare una fotografia a quei tempi era un processo lungo e macchinoso; erano necessari lunghi tempi di posa e non sempre tutto andava per il verso giusto...nulla a che vedere con le macchine digitali, rapide ed indolore a cui siamo abituati oggi!
Tuttavia le tecnologie e le tecniche fotografiche hanno fatto in fretta passi avanti nel corso dell'Ottocento, ma i fotografi dovevano comunque portare con sé un'attrezzatura ingombrante e sicuramente non agevole da trasportare.
Tutto questo unito all'ulteriore abilità che un fotografo che ritraeva morti ( presumo che dovesse essere una vera e propria specializzazione ) doveva avere e cioè quella di comporre le salme in funzione del risultato finale che voleva ottenere. Non so se ci fossero dei compositori di salme specializzati che assistevano il fotografo, magari un vero e proprio staff professionale che si occupava di tutto quello che concerneva l'allestimento del set, ma è assai probabile che gli studi fotografici o i fotografi singoli fossero più che organizzati per assolvere le esigenze dei clienti.
Nei primi anni in cui la fotografia si è diffusa non era molto comune farsi ritrarre visto che si trattava di un processo costoso che non tutti potevano permettersi di sostenere; per questa ragione era frequente che una persona morisse, anche adulta, senza aver mai posato per una foto.
Ma era usanza che la fotografia scattata dopo il trapasso fosse d'obbligo affinché la famiglia potesse conservare un ricordo nitido della persona scomparsa...se poi la foto era composta in maniera tale che il defunto sembrasse ancora vivo, era molto meglio. I fotografi del post mortem erano anche molto abili nel ritoccare i ritratti, dando colorito alle gote delle salme e dipingendo gli occhi aperti sulle palpebre chiuse...una sorta di Photoshop ante litteram, eseguito con pennello e colori direttamente sulle fotografie.
Questo delle fotografie ai morti era un fenomeno assai diffuso e considerato del tutto naturale, a dispetto di come potrebbe apparire ai nostri occhi. In una società come quella vittoriana in cui tutto ciò che non fosse considerato in linea con i severi principi della corona britannica andava rigorosamente censurato, nemmeno la morte poteva essere risparmiata e mostrata liberamente per quella che è, infatti i morti venivano sapientemente camuffati affinché sembrassero ancora vivi.
Una manifestazione molto singolare e curiosa in un secolo non ancora del tutto studiato e approfondito quale l'Ottocento, che sembra però rispecchiare, senza alcuna difficoltà di analisi, l'atavico desiderio umano di sopraffare ed esorcizzare le paure e le sofferenze connesse alla morte.



mercoledì 18 maggio 2011

Necrofilia

Sono sincera: a me, di chi ha ucciso Melania Rea, Sarah Scazzi, Yara Gambirasio, e chi più ne ha più ne metta, non me ne frega niente.
Non che non mi dispiaccia che delle persone vengano private, da parte di qualcuno, del diritto a vivere; semplicemente sono stufa di questi processi mediatici e di questi fatti di cronaca ( manco fossero gli unici casi di omicidio in Italia ) che occupano per mesi pagine e pagine di giornali; dove tutti si sentono in diritto di esprimere un'opinione sulla base di quanto scritto o detto dai giornalisti; dove tutti si sentono dei grandi detective.
Per le indagini esistono già gli inquirenti, che sanno fare il proprio lavoro e non hanno certo bisogno di talk show, giornalisti o deduzioni di comuni cittadini non coinvolti direttamente nei fatti, per incastrare i colpevoli.
Quello dei gialli e degli omicidi, è divenuto ormai un business di tutto rispetto e di discutibile gusto entro cui sguazzano pesci di tutte le razze; per lo più pescecani pronti a sbranare e maciullare la dignità delle vittime.
La cosa svilente è che spesso questi predatori non sono solamente fotografi e giornalisti con tutte le corti di giullari e saltimbanchi che popolano i salotti televisivi arrogandosi il diritto di parola in nome di non si sa bene quale meriti intellettuali e/ o artistici; ma sono familiari e parenti stessi delle vittime che non perdono occasione per costruire sulla tragedia il proprio trampolino di lancio verso il successo.
Potremmo intavolare una lunga discussione sulla decadenza dei costumi; su quanto sia diseducativa questa televisione che trasmette come unico valore quello dell'apparire senza meriti particolari, né abilità effettive...ma obiettivamente non è di questo che voglio parlare, quantomeno non in senso stretto.
Più che altro sono stufa che la mente dei cittadini venga costantemente impegnata in questi fatti di poco conto per quanto riguarda gli interessi comuni. Dispiace che una persona venga assassinata, ci mancherebbe altro, ma in fondo a noi che cazzo ce ne frega?! E' morta. Basta, non c'è più.
Smettiamola con questo buonismo, con questa pseudo solidarietà nei confronti dei parenti delle vittime. Ogni giorno muoiono un sacco di persone, molte vittime di omicidi di cui magari i media nazionali nemmeno parlano, e allora? Sono morti, punto. E chi di dovere si occuperà di trovare l'assassino e processarlo. Non c'è bisogno del nostro aiuto, delle nostre intuizioni, del nostro talento di fan incalliti di CSI, e nemmeno della nostra compassione. I morti non hanno bisogno di compassione; i morti non soffrono.
Solidarietà ai familiari delle vittime, mi sta bene. Una lettera, poche parole. Non c'è bisogno di invitarli a tutte le trasmissioni televisive ogni giorno; questa non è compassione, non è solidarietà: è uno schifo!
Come si fa ad avere voglia di stare in uno studio televisivo, mentre si ha un familiare sul tavolo di un obitorio? E' per chiedere giustizia, dicono. Ma quale giustizia?! E a chi poi? Ai telespettatori?
La giustizia si chiede in tribunale, non in televisione.
Basta con questi vergognosi processi mediatici, basta! Mi sono rotta le palle di leggere ogni volta pagine e pagine di giornali e sentire ore ed ore di dirette televisive dedicate a questi casi di omicidio, dove tutti i presunti esperti ed intellettualoni fanno a gara per dare una propria versione ed interpretazione dei fatti. Sono individui insulsi che dovrebbero dedicare il proprio tempo e le proprie facoltà mentali in questioni di maggior rilevanza, anziché passare ore a speculare sui morti, coi deretani incollati alle poltrone degli studi televisivi e pagati a peso d'oro.
E questi talk show non fanno che mettere in risalto fatti letti su quotidiani o notizie passate ai telegiornali...quindi processi basati su reinterpretazioni dei giornalisti e non sui eventi reali.
Il cavallo di battaglia di queste trasmissioni sono i resoconti da obitorio; i dettagli più macabri dell'omicidio: quante coltellate; presenza o meno di segni di violenza sul cadavere; stato di decomposizione.... Al solo scopo di fare leva sulla necrofilia della gente.
Siamo un paese di necrofili. Ci piacciono i morti, ci interessano i morti. E vogliamo sapere in quante parti è stato smembrato un cadavere; come si è decomposto; in che posizione l'hanno trovato...i cadaveri fanno schifo; i cadaveri puzzano! La gente è attratta dal fetore della morte. Non solo necrofila, ma anche necrofaga, assetata di sangue e putrefazione.
Probabilmente se li vedessero per davvero quei cadaveri, passerebbe loro la voglia. I morti sono brutti. Non importa quanto fossero belli in vita: da morti facciamo tutti schifo.
Le persone dovrebbero interessarsi al bello, all'arte; invece si interessano solo di sesso e di morti. E di soldi, anche. In televisione mostrano solo quello. Sesso, morte e soldi.
Ma a chi continua a pararsi dietro la pallida motivazione della giustizia; del fatto che la spettacolarizzazione televisiva della morte ha lo scopo di dare visibilità a casi che richiedono giustizia, io dico questo: chiedete giustizia per dei morti che nemmeno conoscete, e di cui non avreste saputo nemmeno che erano in vita se non fosse stato per i media, in quel caso urlate e reclamate giustizia perchè gli assassini devono pagare, e non vi curate minimamente del fatto che mantenete ogni giorno dei criminali che se la spassano alle vostre spalle e girano impuniti con tanto di scorta e auto di lusso.
Questi non sono assassini? Non ci vuole giustizia in questo caso?
Oh, ma che cazzo ve ne frega di gente morta che manco conoscete; preoccupatevi dei reati che vengono mossi contro voi stessi, piuttosto!
Questi criminali sono peggio del pazzo omicida che smembra un cadavere; molto peggio.
Sono peggio perchè agiscono scientemente; perchè ci vogliono ridurre ad un paese di morti che si interessano di morti; perchè uccidono le menti; anestetizzano le coscienze. E una coscienza anestetizzata e l'anticamera della morte.
SVEGLIATEVI!

giovedì 5 maggio 2011

Caccia al leone

La caccia al leone si è conclusa tre giorni fa, dicono.
L'evento tanto atteso negli ultimi dieci anni, la ragione che avrebbe mosso gli eserciti occidentali a perpetrare azioni militari in Afghanistan, l'obiettivo numero uno dei servizi segreti statunitensi: la cattura di Bin Laden è avvenuta, a detta di Obama, lunedì. In meno di un giorno tutto si è compiuto; dal blitz che lo avrebbe ucciso, all'identificazione per mezzo della prova del Dna, agli sbrigativi funerali a bordo di una portaerei americana, alla sepoltura in mare.
In meno di un giorno il numero uno di Al Qaeda è sparito dalla faccia della Terra.
Parola di Barack Obama. A dieci anni dall'11 settembre e a uno dalle presidenziali...quando si parla di coincidenze.
Ma nessuno ha visto niente. Le foto del cadavere sono state negate alla stampa e ai media “ perchè troppo crude” spiega il Presidente degli Stati Uniti, dove le esecuzioni capitali vengono svolte dinnanzi agli spettatori con tanto di posti a sedere.
Buona parte degli altri terroristi catturati sono detenuti a Guantanamo; Bin Laden no, ammazzato al volo con un proiettile in testa e buttato in mare dove nessuno potrà mai più recuperarlo, né verificare alcunché. E' strano, voi che dite?
Per dieci anni l'hanno cercato in Afghanistan, tra le montagne. Un dializzato che aveva bisogno di costanti cure mediche. Sapendo che il Pakistan da sempre parteggia per lui.
E ancora: ci hanno messo DIECI anni a trovarlo...scusate, ma che servizi segreti di merda hanno gli Stati Uniti?!
Bin Laden è morto. Questo, per logica, dovrebbe essere certo. Morto o uscito di scena col suo consenso in maniera definitiva. E per molti questo è ciò che conta: l'aver cancellato per sempre il mostro. Basti pensare alle scene trasmesse in tv nella giornata di lunedì, che ritraevano piazze statunitensi gremite di persone festanti e in preda ad una sorta di delirio collettivo. Come se l'eliminazione fisica di Bin Laden ponesse fine a tutti gli effetti al terrorismo di matrice islamica, o come se essa fosse una tappa indispensabile per estirpare il Male dal mondo.
Senza riflettere nemmeno un istante sul fatto che Bin Laden non era che un esponente di un'ideologia che continua a vivere; il suo posto è stato preso da altri. Il terrorismo non ha cessato di esistere il 2 maggio scorso.
E non saranno certo le guerre o gli interventi armati ad annientarlo.
Ma a nessuno di quegli americani euforici ed ubriachi è passato per la mente il sospetto che ci fossero troppe incongruenze nelle dichiarazioni del loro Presidente, né che Bin Laden ormai non era divenuto altro che un personaggio mitologico da tirar fuori come spauracchio al momento del bisogno.
A tanto può portare la suggestione. A chiudere gli occhi ed annebbiare le menti.
Dieci anni di sbattimento per acciuffare questo Satana islamico, e nemmeno ne vogliono mostrare le immagini...mentre quelle delle altre vittime del blitz stanno iniziando a circolare.
Due secoli or sono, nella terra di Obama, i pionieri avevano il loro bel daffare nell'invadere i territori dei nativi. I boscaioli addetti all'importantissimo rifornimento di legname, ottenevano una paga doppia se erano costretti a lavorare in aree “infestate” dagli indigeni. Ma dovevano dimostrarlo con gli scalpi: prova dell'inequivocabile presenza ed uccisione del nemico.
Ma il Presidente è il Presidente. Lui non ha bisogno di dimostrare: nei suoi riguardi vale solo l'atto di fede.
No, ma scusate, io dico: che strani questi americani! Dieci anni di estenuante caccia al leone...e nemmeno si sono voluti togliere la soddisfazione di esibirne la pelliccia?

domenica 3 aprile 2011

Astenia

Da alcuni giorni sono attanagliata da una stanchezza incredibile; probabilmente sono gli arretrati di sonno che iniziano a farsi sentire imponendomi, mio malgrado, il riposo.
Faccio fatica a scrivere, a leggere, ad elucubrare. Questo mi infastidisce perché avrei molto da dire, ma non riesco a dare forma ai miei pensieri.
Forse avrei bisogno di stare un po' più fuori, all'aria aperta...difatti ora scrivo in giardino, visto che il tempo è ottimo.
La primavera sembra essere esplosa in un momento: vedo le piante fiorite; le prime gemme sugli alberi; i fiori nei prati...la natura che si sta svegliando quando, fino a poco fa non sembrava volersi scrollare di dosso gli artigli gelidi dell'inverno. Forse sono io che vivo in un'altra dimensione; troppo assorta nelle mie riflessioni e in me stessa per rendermi conto di quello che mi accade intorno.
Questa mia natura introspettiva spesso è più un difetto che un pregio e mi porta ad estraniarmi rispetto al mondo che mi circonda nelle immediate vicinanze; un mondo di cui, in fondo, non me ne è mai importato nulla; un mondo fatto di motivazioni superficiali ed inutili; un mondo di idioti che si perdono in questioni idiote relative ad altri idioti, altrettanto ignari di esserlo e convinti di aver trovato ragioni più che valide per vivere.
Questa mia natura di anacoreta, amante del silenzio e della solitudine, è poco idonea al chiasso di cui le persone amano circondarsi.
E, pur soffrendone alle volte, so che la mia parziale estraniazione dal mondo è l'unico mezzo per conservare quella tensione necessaria che mi consente di meditare, di creare, di dare forma ai miei pensieri e alle parole che mi rimbalzano nella testa.
Se è vero che soffrire è produrre conoscenza, allora questa mia sofferenza della solitudine un po' subita e un po' auto imposta, non può che essere accettata e desiderata quale mezzo di crescita e di evoluzione...che sembra un po' una contraddizione in termini, visto che non può esserci crescita senza l'altro; senza l'interazione col mondo.
E quel desiderio dell'altro che è totale, assoluto, oppure nullo; o è troppo, o è troppo poco. Senza vie di mezzo...come sono io, del resto. Bisognosa di un desiderio talmente forte da sostenermi; su cui poter poggiare i piedi, per questo deve essere assoluto, prepotente, estremo. Ciò che la maggior parte dei rapporti umani non può essere; eccetto il rapporto con me stessa, feroce, combattuto, sofferto, accondiscendente, sprezzante, ficcante, sferzante, esigente....
Scrivere e pensare sono due delle poche cose che mi fanno ancora stare bene, anche se non so scrivere e nella mia mente non si annidano altro che idee balzane. Da qualche mese strimpello la chitarra, quindi si è aggiunta una nuova attività a darmi piacere. I risultati sono penosi, ma cantare accompagnandomi con la chitarra mi distende. Ho provato anche a musicare alcune mie poesie...senza prendermi troppo sul serio, s'intende, ma è stato un modo carino per trascorrere qualche ora serena.
Per il resto sento di non potermi concedere il lusso di una banale, frivola felicità. In fondo la gente è felice quando è inconsapevole, e la mia stagione di inconsapevolezza l'ho superata da un po'; dal momento in cui ho perso l'illusione che la felicità fosse lì, pronta per essere colta come un frutto dall'albero.
Magari quella agognata felicità esiste anche, ma non riesco a concepirla se non come il risultato di sforzi immani e mirati a raggiungerla. La felicità non è dovuta e, in fondo, altro non è che una condizione interiore.
Tutte le mie aspettative di un tempo si sono via via infrante contro una scogliera di verità a me, sino ad allora, ignote. Ma se dovessi scegliere tra il mio essere di un tempo, ignara ed illusa, e quel che sono oggi, sicuramente non esiterei. Preferisco di gran lunga la consapevolezza, per quanto dolorosa, perché è un passo verso la verità; verso una verità acquisita tramite l'esperienza e non inserita nel pacchetto all inclusive che ti viene propinato appena metti la testa fuori dal guscio.
Ogni volta che pubblico di questi sfoghi, un po' me ne pento. Vorrei parlare di cose più importanti di queste, di interesse comune e non di bieco individualismo e protagonismo...che detto da un'esibizionista come me è sicuramente preoccupante. Ma, in fondo, che cosa è un uomo per dare importanza ai suoi inverni, anche quando sono già così numerosi da fargli piegare il capo come una pesante nevicata? Tanti altri uomini hanno vissuto e vivranno la stessa storia, per diventare erba sui colli.