Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente
chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo
quando è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita,
di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore
chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce
o non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza
porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
( Martha Medeiros )
Il reame della disillusione
mercoledì 2 maggio 2012
giovedì 5 aprile 2012
Your true colors are beautiful
COLORI VERI
Tu con gli occhi tristi
non scoraggiarti
Oh ho capito che
è difficile prendere coraggio
in un mondo pieno di gente
puoi perdere tutto di vista
e l'oscurità dentro te
può farti sentire così piccolo
ma io vedo i tuoi colori veri
risplendere dentro te
vedo i tuoi colori veri
ed è per questo che ti amo
quindi non avere paura
di mostrarli
I tuoi colori veri
I colori veri sono bellissimi
come un arcobaleno
mostrami un sorriso allora,
non essere triste, non riesco a ricordare
l'ultima volta che ti ho visto ridere
se questo mondo ti fa impazzire
ed hai già preso tutto ciò che
riesci a sopportare
puoi chiamarmi
perché sai che io sarò lì per te
e io vedo i tuoi colori veri
risplendere dentro te
vedo i tuoi colori veri
ed è per questo che ti amo
quindi non avere paura
di mostrarli
I tuoi colori veri
I colori veri sono bellissimi
come un arcobaleno.
non scoraggiarti
Oh ho capito che
è difficile prendere coraggio
in un mondo pieno di gente
puoi perdere tutto di vista
e l'oscurità dentro te
può farti sentire così piccolo
ma io vedo i tuoi colori veri
risplendere dentro te
vedo i tuoi colori veri
ed è per questo che ti amo
quindi non avere paura
di mostrarli
I tuoi colori veri
I colori veri sono bellissimi
come un arcobaleno
mostrami un sorriso allora,
non essere triste, non riesco a ricordare
l'ultima volta che ti ho visto ridere
se questo mondo ti fa impazzire
ed hai già preso tutto ciò che
riesci a sopportare
puoi chiamarmi
perché sai che io sarò lì per te
e io vedo i tuoi colori veri
risplendere dentro te
vedo i tuoi colori veri
ed è per questo che ti amo
quindi non avere paura
di mostrarli
I tuoi colori veri
I colori veri sono bellissimi
come un arcobaleno.
mercoledì 7 dicembre 2011
La scuola dell'ignoranza
Che tristezza vedere come la scuola
riesca a distruggere la conoscenza!
Sì, proprio la scuola, e cioè
quell'ente che dovrebbe preoccuparsi, invece, di divulgare la
conoscenza e farla amare al fine di generare individui istruiti e
consapevoli.
La scuola a qualunque livello è
divenuta ormai solo il mezzo obbligatorio per mezzo del quale
ottenere l'indispensabile “pezzo di carta” con cui poter accedere
al mondo del lavoro ed ambire ad una posizione migliore.
Peccato che la scuola a tutti i
livelli, università compresa, non sappia formare veramente le
persone e non sappia dar loro quello che veramente è necessario.
L'amore per la cultura è ormai
asservito al sistema dei voti, dei crediti, dei debiti, dei programmi
da portare a compimento entro la fine dell'anno a costo di obbligare
gli studenti ad impararsi a memoria centinaia di pagine senza averci
capito un tubo, solo in vista dell'esame, del compito in classe.
Tutto basato spesso sulla quantità e
non sulla qualità.
Mi colgono il disgusto, la tristezza,
quando navigando in rete trovo richieste di studenti ad altri
studenti di riassunti di libri, di appunti, di tesine preconfezionate
e pronte da stampare senza nemmeno leggerne il contenuto.... Ma che
razza di scuola è questa? A cosa serve tutto ciò? Non sarebbe
meglio, a questo punto, che i giovani, i ragazzi, restassero nella
loro ignoranza?
La colpa non è loro, o delle famiglie,
o dell'insegnante specifico. La colpa è di un sistema scolastico
altamente scadente che non ha più nulla di utile da insegnare.
La scuola che non sa più motivare gli
studenti, scuoterli, pungolarli ed appassionarli alla cultura, allo
studio.
I voti sono necessari per valutare un
allievo, certo. E' indispensabile disporre di un sistema di
valutazione che consenta di comprendere chi si impegna e chi no, chi
lavora e chi no, chi ha imparato e chi no, ma a volte ho come la
sensazione che tutto sia divenuto subordinato al sistema di
valutazione: il voto conta più dell'effettivo apprendimento. Che
poi, apprendimento...puro nozionismo, diciamolo pure! Perché quella
che è andata perduta è l'anima degli insegnamenti, l'essenza, il
senso più profondo.
Che importanza ha il riassunto di un
libro se non se n'è capito l'insegnamento? Ma non l'insegnamento
dato dal professore, bensì quello insito nell'opera. Che senso ha
rispondere ad un questionario standard per comprendere se l'alunno ha
letto veramente un romanzo se non ha saputo cogliere le emozioni
dell'autore ed il suo messaggio?
A me fanno rabbia i grandi capolavori
della letteratura strumentalizzati e riadattati ai moderni sistemi di
valutazione scolastici. E' come mettere una bomba in mano ad un
bambino senza spiegargli di cosa possa essere capace, di quale sia la
sua reale potenza e domandargli, molto banalmente, di descriverla.
La letteratura è un'arma, è uno
strumento, è quanto di più utile possieda l'uomo per la sua
sopravvivenza; mille volte più utile di un'automobile quando si deve
compiere un viaggio, di un supermercato aperto fino a tardi quando si
ha il frigo vuoto e niente per cena, più utile del denaro per
comprarsi un'automobile o fare la spesa...su questo qualcuno potrebbe
avere delle riserve. Che cazzo te ne fai della letteratura quando non
hai i soldi per vivere? Vero.
Ma la storia dimostra che l'uomo può
sopravvivere anche nelle peggiori condizioni fisiche e materiali,
nelle carestie, nelle guerre, nelle crisi...provate, però, a
togliergli i sogni, le speranze, i pensieri e lo ucciderete.
“COGITO ERGO SUM” ( Penso dunque
sono ) diceva Cartesio.
Scuola, insegna ai tuoi allievi a
pensare per poter essere e non a castrare la conoscenza e il sapere
nei tuoi inutili voti del cazzo che non servono a salvare l'umanità,
bensì ad intrappolarla nella schiavitù della dannazione eterna che
si chiama ignoranza!
venerdì 2 settembre 2011
Fotografia post mortem
Sin dalle epoche più antiche l'uomo ha
sempre allontanato da sé il timore della morte per mezzo di rituali
e particolari cure riservate ai defunti, nell'intento di aiutarli a
compiere il loro viaggio verso l'oltretomba e non infastidire i vivi
dai quali la morte li aveva ineluttabilmente distaccati.
Il dolore per la perdita della persona
cara ha sempre spinto gli uomini di tutte le culture e di tutti i
tempi ( pare che già i Neanderthal seppellissero i loro morti
lasciando vicino alle tombe simboli ed amuleti ) a prendersi cura
delle salme e associando il fenomeno della morte a quello del sonno.
Non di rado, infatti, i cadaveri
venivano posti nelle fosse, sui catafalchi funebri o sulle pire, come
se stessero dormendo un sonno profondo...difatti la posizione
orizzontale è generalmente assunta dall'uomo mentre riposa ( o
quando è morto ); mentre cioè il suo corpo è inattivo.
Il dormiente non interagisce con il
mondo esterno, nel sonno persino i parametri vitali rallentano e
questo ricorda molto da vicino come il morto appare agli occhi di chi
lo guarda: un individuo assorto, distaccato dalla realtà che lo
circonda. Così come l'uomo che dorme è immerso nel mondo dei sogni,
il morto è proiettato nel mondo ultraterreno. Per gli antichi,
infatti, i sogni erano messaggi divini, direttamente provenienti dal
sovrannaturale. Ricordiamo, ad esempio, l'episodio biblico narrato
nella Genesi in cui Giuseppe, figlio di Giacobbe, interpretava gli
angoscianti sogni del faraone; o ai “libri dei sogni” degli
antichi egizi, giunti fino a noi per mezzo di alcuni papiri
conservatisi...per non parlare poi della grande considerazione in cui
i sogni erano tenuti dai popoli cosiddetti animisti e non solo.
Se quindi le visioni notturne, talvolta
enigmatiche, talaltra terribili, accompagnavano il dormiente nel suo
misterioso stato di isolamento dal mondo materiale ( un isolamento
temporaneo ), di sicuro il defunto doveva potersi spingere ancora più
in là, abbandonato definitivamente dal suo spirito che era migrato
verso qualche universo spirituale e remoto, inaccessibile ai vivi.
A prescindere da quello che potesse
accadere all'anima del caro estinto, in viaggio verso l'aldilà,
spesso immaginato come una riproduzione del mondo terreno di gran
lunga perfezionato, o talvolta come un mondo puramente spirituale,
quello che più premeva a coloro che rimanevano in vita era il dolore
straziante che la separazione provocava loro; l'incapacità di
accettare che la persona amata non ci fosse più.
Tutti i rituali funebri, la cura della
salma, le preghiere, le offerte al defunto, altro non sono state ( ed
altro non sono ) in tutte le culture umane, che un modo per elaborare
il lutto, cercare di dare alla perdita della persona cara un senso
che la renda accettabile. Tra i dolori umani quello del lutto è
sicuramente uno dei peggiori e dei più difficili da superare; la
consapevolezza che la nostra vita ha un tempo limitato e il mistero
di cosa potrebbe esserci dopo, ammesso che ci sia, angosciano da
sempre l'essere umano che spesso ha trovato conforto nelle
convinzioni di tipo religioso che tendono a dare rassicurazioni
riguardo al fatto che con la morte non si assiste ad una fine, ma che
si tratta sostanzialmente della chiusura di un ciclo e l'inizio di un
altro in cui l'individuo non cessa di esistere, ma va “altrove”,
o assume un'altra forma non più fisica pur conservando le
caratteristiche intrinseche del suo essere individuo.
Indipendentemente dalle convinzioni di
natura escatologica delle persone, la perdita di un familiare, di un
amico, di una persona con la quale si sia condiviso un tratto di
esistenza, l'accettazione del distacco passa per mezzo di una serie
di rituali che comprendono la manipolazione della salma, il contatto
reale e materiale con essa come se ancora fosse in vita. Questo
implica l'iniziale rifiuto da parte di chi subisce il lutto di
considerare la persona cara effettivamente morta.
Quando veniamo colpiti da un lutto,
spesso, le reazioni possono essere di due tipi: il rifiutarsi di
toccare o vedere la persona morta o, al contrario, il desiderio di
starle il più possibile vicino e trattarla come se ancora fosse
presente a tutti gli effetti, viva ed esistente.
Spesso nei rituali funebri delle varie
culture vi è una componente di convivialità con il defunto, o di
condivisione di aspetti festosi e quotidiani. Talvolta si può usare
la veglia della salma o il banchetto in una stanza adiacente alla
camera del morto che viene lasciata di proposito con la porta aperta
affinché il defunto possa “partecipare” insieme a parenti ed
amici.
Ogni popolo ha i suoi usi e costumi
relativi alla morte, come alla vita.
Vi sono singolari tradizioni del mondo
occidentale che spesso sono poco conosciute ai più e, addirittura,
non sono ancora state completamente studiate e comprese.
Una di queste è la fotografia post
mortem. Pare che questa singolare pratica si sia sviluppata in epoca
vittoriana, e comunque intorno alla metà del XVIII secolo. Dal mondo
anglosassone sembra poi essersi diffusa anche in alcune parti
d'Europa; ad esempio nell'Europa dell'Est ed è rimasta in auge per
un secolo. Le fotografie post mortem più recenti risalgono alla
prima metà del '900.
Questa usanza consisteva nel ritrarre i
defunti poco dopo il decesso, direttamente all'interno della bara
posta nella camera ardente, oppure in atteggiamenti del tutto
“vitali” e che poco lasciassero intuire del loro effettivo stato
di trapassati.
A causa dell'alto tasso di mortalità
infantile sono numerosissime le foto post mortem a noi sopraggiunte
che ritraggono bambini; questi ultimi spesso venivano fotografati su
un divano, a letto, o su un cuscino come se fossero assorti in un
sonno profondo, attorniati dai giocattoli preferiti, dai fratelli e,
talvolta, dagli animali domestici cui erano stati particolarmente
affezionati in vita.
I neonati deceduti durante il parto o
nei primi mesi di vita erano tantissimi e spesso venivano fotografati
in braccio alla madre, nel lettino o in minuscole bare aperte,
adornate di merletti e fiori.
Ma tante sono anche le fotografie che
immortalano gli adulti, nei loro abiti migliori, siano essi stati di
estrazione umile o benestante. Indipendentemente dai mezzi economici
della famiglia, nessuno voleva rinunciare ad una fotografia che
riprendesse il caro estinto e ne perpetuasse il ricordo.
In alcuni casi è possibile assistere a
composizioni fotografiche di notevole pregio, nelle quali è quasi
impossibile riconoscere il morto comodamente seduto ad un tavolo tra
i parenti, o addirittura in piedi in compagnia di un familiare.
I fotografi del post mortem dovevano
aver sviluppato nel tempo delle abilità considerevoli, non solo
nello scatto delle foto, ma anche e soprattutto nella composizione
delle salme e dei set.
Ricordiamo che scattare una fotografia
a quei tempi era un processo lungo e macchinoso; erano necessari
lunghi tempi di posa e non sempre tutto andava per il verso
giusto...nulla a che vedere con le macchine digitali, rapide ed
indolore a cui siamo abituati oggi!
Tuttavia le tecnologie e le tecniche
fotografiche hanno fatto in fretta passi avanti nel corso
dell'Ottocento, ma i fotografi dovevano comunque portare con sé
un'attrezzatura ingombrante e sicuramente non agevole da trasportare.
Tutto questo unito all'ulteriore
abilità che un fotografo che ritraeva morti ( presumo che dovesse
essere una vera e propria specializzazione ) doveva avere e cioè
quella di comporre le salme in funzione del risultato finale che
voleva ottenere. Non so se ci fossero dei compositori di salme
specializzati che assistevano il fotografo, magari un vero e proprio
staff professionale che si occupava di tutto quello che concerneva
l'allestimento del set, ma è assai probabile che gli studi
fotografici o i fotografi singoli fossero più che organizzati per
assolvere le esigenze dei clienti.
Nei primi anni in cui la fotografia si
è diffusa non era molto comune farsi ritrarre visto che si trattava
di un processo costoso che non tutti potevano permettersi di
sostenere; per questa ragione era frequente che una persona morisse,
anche adulta, senza aver mai posato per una foto.
Ma era usanza che la fotografia
scattata dopo il trapasso fosse d'obbligo affinché la famiglia
potesse conservare un ricordo nitido della persona scomparsa...se poi
la foto era composta in maniera tale che il defunto sembrasse ancora
vivo, era molto meglio. I fotografi del post mortem erano anche molto
abili nel ritoccare i ritratti, dando colorito alle gote delle salme
e dipingendo gli occhi aperti sulle palpebre chiuse...una sorta di
Photoshop ante litteram, eseguito con pennello e colori direttamente
sulle fotografie.
Questo delle fotografie ai morti era un
fenomeno assai diffuso e considerato del tutto naturale, a dispetto
di come potrebbe apparire ai nostri occhi. In una società come
quella vittoriana in cui tutto ciò che non fosse considerato in
linea con i severi principi della corona britannica andava
rigorosamente censurato, nemmeno la morte poteva essere risparmiata e
mostrata liberamente per quella che è, infatti i morti venivano
sapientemente camuffati affinché sembrassero ancora vivi.
Una manifestazione molto singolare e
curiosa in un secolo non ancora del tutto studiato e approfondito
quale l'Ottocento, che sembra però rispecchiare, senza alcuna
difficoltà di analisi, l'atavico desiderio umano di sopraffare ed
esorcizzare le paure e le sofferenze connesse alla morte.
mercoledì 18 maggio 2011
Necrofilia
Sono sincera: a me, di chi ha ucciso
Melania Rea, Sarah Scazzi, Yara Gambirasio, e chi più ne ha più ne
metta, non me ne frega niente.
Non che non mi dispiaccia che delle
persone vengano private, da parte di qualcuno, del diritto a vivere;
semplicemente sono stufa di questi processi mediatici e di questi
fatti di cronaca ( manco fossero gli unici casi di omicidio in Italia
) che occupano per mesi pagine e pagine di giornali; dove tutti si
sentono in diritto di esprimere un'opinione sulla base di quanto
scritto o detto dai giornalisti; dove tutti si sentono dei grandi
detective.
Per le indagini esistono già gli
inquirenti, che sanno fare il proprio lavoro e non hanno certo
bisogno di talk show, giornalisti o deduzioni di comuni cittadini non
coinvolti direttamente nei fatti, per incastrare i colpevoli.
Quello dei gialli e degli omicidi, è
divenuto ormai un business di tutto rispetto e di discutibile gusto
entro cui sguazzano pesci di tutte le razze; per lo più pescecani
pronti a sbranare e maciullare la dignità delle vittime.
La cosa svilente è che spesso questi
predatori non sono solamente fotografi e giornalisti con tutte le
corti di giullari e saltimbanchi che popolano i salotti televisivi
arrogandosi il diritto di parola in nome di non si sa bene quale
meriti intellettuali e/ o artistici; ma sono familiari e parenti
stessi delle vittime che non perdono occasione per costruire sulla
tragedia il proprio trampolino di lancio verso il successo.
Potremmo intavolare una lunga
discussione sulla decadenza dei costumi; su quanto sia diseducativa
questa televisione che trasmette come unico valore quello
dell'apparire senza meriti particolari, né abilità effettive...ma
obiettivamente non è di questo che voglio parlare, quantomeno non in
senso stretto.
Più che altro sono stufa che la mente
dei cittadini venga costantemente impegnata in questi fatti di poco
conto per quanto riguarda gli interessi comuni. Dispiace che una
persona venga assassinata, ci mancherebbe altro, ma in fondo a noi
che cazzo ce ne frega?! E' morta. Basta, non c'è più.
Smettiamola con questo buonismo, con
questa pseudo solidarietà nei confronti dei parenti delle vittime.
Ogni giorno muoiono un sacco di persone, molte vittime di omicidi di
cui magari i media nazionali nemmeno parlano, e allora? Sono morti,
punto. E chi di dovere si occuperà di trovare l'assassino e
processarlo. Non c'è bisogno del nostro aiuto, delle nostre
intuizioni, del nostro talento di fan incalliti di CSI, e nemmeno
della nostra compassione. I morti non hanno bisogno di compassione; i
morti non soffrono.
Solidarietà ai familiari delle
vittime, mi sta bene. Una lettera, poche parole. Non c'è bisogno di
invitarli a tutte le trasmissioni televisive ogni giorno; questa non
è compassione, non è solidarietà: è uno schifo!
Come si fa ad avere voglia di stare in
uno studio televisivo, mentre si ha un familiare sul tavolo di un
obitorio? E' per chiedere giustizia, dicono. Ma quale giustizia?! E a
chi poi? Ai telespettatori?
La giustizia si chiede in tribunale,
non in televisione.
Basta con questi vergognosi processi
mediatici, basta! Mi sono rotta le palle di leggere ogni volta pagine
e pagine di giornali e sentire ore ed ore di dirette televisive
dedicate a questi casi di omicidio, dove tutti i presunti esperti ed
intellettualoni fanno a gara per dare una propria versione ed
interpretazione dei fatti. Sono individui insulsi che dovrebbero
dedicare il proprio tempo e le proprie facoltà mentali in questioni
di maggior rilevanza, anziché passare ore a speculare sui morti, coi
deretani incollati alle poltrone degli studi televisivi e pagati a
peso d'oro.
E questi talk show non fanno che
mettere in risalto fatti letti su quotidiani o notizie passate ai
telegiornali...quindi processi basati su reinterpretazioni dei
giornalisti e non sui eventi reali.
Il cavallo di battaglia di queste
trasmissioni sono i resoconti da obitorio; i dettagli più macabri
dell'omicidio: quante coltellate; presenza o meno di segni di
violenza sul cadavere; stato di decomposizione.... Al solo scopo di
fare leva sulla necrofilia della gente.
Siamo un paese di necrofili. Ci
piacciono i morti, ci interessano i morti. E vogliamo sapere in
quante parti è stato smembrato un cadavere; come si è decomposto;
in che posizione l'hanno trovato...i cadaveri fanno schifo; i
cadaveri puzzano! La gente è attratta dal fetore della morte. Non
solo necrofila, ma anche necrofaga, assetata di sangue e
putrefazione.
Probabilmente se li vedessero per
davvero quei cadaveri, passerebbe loro la voglia. I morti sono
brutti. Non importa quanto fossero belli in vita: da morti facciamo
tutti schifo.
Le persone dovrebbero interessarsi al
bello, all'arte; invece si interessano solo di sesso e di morti. E di
soldi, anche. In televisione mostrano solo quello. Sesso, morte e
soldi.
Ma a chi continua a pararsi dietro la
pallida motivazione della giustizia; del fatto che la
spettacolarizzazione televisiva della morte ha lo scopo di dare
visibilità a casi che richiedono giustizia, io dico questo: chiedete
giustizia per dei morti che nemmeno conoscete, e di cui non avreste
saputo nemmeno che erano in vita se non fosse stato per i media, in
quel caso urlate e reclamate giustizia perchè gli assassini devono
pagare, e non vi curate minimamente del fatto che mantenete ogni
giorno dei criminali che se la spassano alle vostre spalle e girano
impuniti con tanto di scorta e auto di lusso.
Questi non sono assassini? Non ci vuole
giustizia in questo caso?
Oh, ma che cazzo ve ne frega di gente
morta che manco conoscete; preoccupatevi dei reati che vengono mossi
contro voi stessi, piuttosto!
Questi criminali sono peggio del pazzo
omicida che smembra un cadavere; molto peggio.
Sono peggio perchè agiscono
scientemente; perchè ci vogliono ridurre ad un paese di morti che si
interessano di morti; perchè uccidono le menti; anestetizzano le
coscienze. E una coscienza anestetizzata e l'anticamera della morte.
SVEGLIATEVI!
giovedì 5 maggio 2011
Caccia al leone
La caccia al leone si è conclusa tre
giorni fa, dicono.
L'evento tanto atteso negli ultimi
dieci anni, la ragione che avrebbe mosso gli eserciti occidentali a
perpetrare azioni militari in Afghanistan, l'obiettivo numero uno dei
servizi segreti statunitensi: la cattura di Bin Laden è avvenuta, a
detta di Obama, lunedì. In meno di un giorno tutto si è compiuto;
dal blitz che lo avrebbe ucciso, all'identificazione per mezzo della
prova del Dna, agli sbrigativi funerali a bordo di una portaerei
americana, alla sepoltura in mare.
In meno di un giorno il numero uno di
Al Qaeda è sparito dalla faccia della Terra.
Parola di Barack Obama. A dieci anni
dall'11 settembre e a uno dalle presidenziali...quando si parla di
coincidenze.
Ma nessuno ha visto niente. Le foto del
cadavere sono state negate alla stampa e ai media “ perchè troppo
crude” spiega il Presidente degli Stati Uniti, dove le esecuzioni
capitali vengono svolte dinnanzi agli spettatori con tanto di posti a
sedere.
Buona parte degli altri terroristi
catturati sono detenuti a Guantanamo; Bin Laden no, ammazzato al volo
con un proiettile in testa e buttato in mare dove nessuno potrà mai
più recuperarlo, né verificare alcunché. E' strano, voi che dite?
Per dieci anni l'hanno cercato in
Afghanistan, tra le montagne. Un dializzato che aveva bisogno di
costanti cure mediche. Sapendo che il Pakistan da sempre parteggia
per lui.
E ancora: ci hanno messo DIECI anni a
trovarlo...scusate, ma che servizi segreti di merda hanno gli Stati
Uniti?!
Bin Laden è morto. Questo, per logica,
dovrebbe essere certo. Morto o uscito di scena col suo consenso in
maniera definitiva. E per molti questo è ciò che conta: l'aver
cancellato per sempre il mostro. Basti pensare alle scene trasmesse
in tv nella giornata di lunedì, che ritraevano piazze statunitensi
gremite di persone festanti e in preda ad una sorta di delirio
collettivo. Come se l'eliminazione fisica di Bin Laden ponesse fine a
tutti gli effetti al terrorismo di matrice islamica, o come se essa
fosse una tappa indispensabile per estirpare il Male dal mondo.
Senza riflettere nemmeno un istante sul
fatto che Bin Laden non era che un esponente di un'ideologia che
continua a vivere; il suo posto è stato preso da altri. Il
terrorismo non ha cessato di esistere il 2 maggio scorso.
E non saranno certo le guerre o gli
interventi armati ad annientarlo.
Ma a nessuno di quegli americani
euforici ed ubriachi è passato per la mente il sospetto che ci
fossero troppe incongruenze nelle dichiarazioni del loro Presidente,
né che Bin Laden ormai non era divenuto altro che un personaggio
mitologico da tirar fuori come spauracchio al momento del bisogno.
A tanto può portare la suggestione. A
chiudere gli occhi ed annebbiare le menti.
Dieci anni di sbattimento per
acciuffare questo Satana islamico, e nemmeno ne vogliono mostrare le
immagini...mentre quelle delle altre vittime del blitz stanno
iniziando a circolare.
Due secoli or sono, nella terra di
Obama, i pionieri avevano il loro bel daffare nell'invadere i
territori dei nativi. I boscaioli addetti all'importantissimo
rifornimento di legname, ottenevano una paga doppia se erano
costretti a lavorare in aree “infestate” dagli indigeni. Ma
dovevano dimostrarlo con gli scalpi: prova dell'inequivocabile
presenza ed uccisione del nemico.
Ma il Presidente è il Presidente. Lui
non ha bisogno di dimostrare: nei suoi riguardi vale solo l'atto di
fede.
No, ma scusate, io dico: che strani
questi americani! Dieci anni di estenuante caccia al leone...e
nemmeno si sono voluti togliere la soddisfazione di esibirne la
pelliccia?
domenica 3 aprile 2011
Astenia
Da alcuni giorni sono attanagliata da
una stanchezza incredibile; probabilmente sono gli arretrati di sonno
che iniziano a farsi sentire imponendomi, mio malgrado, il riposo.
Faccio fatica a scrivere, a leggere, ad
elucubrare. Questo mi infastidisce perché avrei molto da dire, ma
non riesco a dare forma ai miei pensieri.
Forse avrei bisogno di stare un po' più
fuori, all'aria aperta...difatti ora scrivo in giardino, visto che il
tempo è ottimo.
La primavera sembra essere esplosa in
un momento: vedo le piante fiorite; le prime gemme sugli alberi; i
fiori nei prati...la natura che si sta svegliando quando, fino a poco
fa non sembrava volersi scrollare di dosso gli artigli gelidi
dell'inverno. Forse sono io che vivo in un'altra dimensione; troppo
assorta nelle mie riflessioni e in me stessa per rendermi conto di
quello che mi accade intorno.
Questa mia natura introspettiva spesso
è più un difetto che un pregio e mi porta ad estraniarmi rispetto
al mondo che mi circonda nelle immediate vicinanze; un mondo di cui,
in fondo, non me ne è mai importato nulla; un mondo fatto di
motivazioni superficiali ed inutili; un mondo di idioti che si
perdono in questioni idiote relative ad altri idioti, altrettanto
ignari di esserlo e convinti di aver trovato ragioni più che valide
per vivere.
Questa mia natura di anacoreta, amante
del silenzio e della solitudine, è poco idonea al chiasso di cui le
persone amano circondarsi.
E, pur soffrendone alle volte, so che
la mia parziale estraniazione dal mondo è l'unico mezzo per
conservare quella tensione necessaria che mi consente di meditare, di
creare, di dare forma ai miei pensieri e alle parole che mi
rimbalzano nella testa.
Se è vero che soffrire è produrre
conoscenza, allora questa mia sofferenza della solitudine un po'
subita e un po' auto imposta, non può che essere accettata e
desiderata quale mezzo di crescita e di evoluzione...che sembra un
po' una contraddizione in termini, visto che non può esserci
crescita senza l'altro; senza l'interazione col mondo.
E quel desiderio dell'altro che è
totale, assoluto, oppure nullo; o è troppo, o è troppo poco. Senza
vie di mezzo...come sono io, del resto. Bisognosa di un desiderio
talmente forte da sostenermi; su cui poter poggiare i piedi, per
questo deve essere assoluto, prepotente, estremo. Ciò che la maggior
parte dei rapporti umani non può essere; eccetto il rapporto con me
stessa, feroce, combattuto, sofferto, accondiscendente, sprezzante,
ficcante, sferzante, esigente....
Scrivere e pensare sono due delle poche
cose che mi fanno ancora stare bene, anche se non so scrivere e nella
mia mente non si annidano altro che idee balzane. Da qualche mese
strimpello la chitarra, quindi si è aggiunta una nuova attività a
darmi piacere. I risultati sono penosi, ma cantare accompagnandomi
con la chitarra mi distende. Ho provato anche a musicare alcune mie
poesie...senza prendermi troppo sul serio, s'intende, ma è stato un
modo carino per trascorrere qualche ora serena.
Per il resto sento di non potermi
concedere il lusso di una banale, frivola felicità. In fondo la
gente è felice quando è inconsapevole, e la mia stagione di
inconsapevolezza l'ho superata da un po'; dal momento in cui ho perso
l'illusione che la felicità fosse lì, pronta per essere colta come
un frutto dall'albero.
Magari quella agognata felicità esiste
anche, ma non riesco a concepirla se non come il risultato di sforzi
immani e mirati a raggiungerla. La felicità non è dovuta e, in
fondo, altro non è che una condizione interiore.
Tutte le mie aspettative di un tempo si
sono via via infrante contro una scogliera di verità a me, sino ad
allora, ignote. Ma se dovessi scegliere tra il mio essere di un
tempo, ignara ed illusa, e quel che sono oggi, sicuramente non
esiterei. Preferisco di gran lunga la consapevolezza, per quanto
dolorosa, perché è un passo verso la verità; verso una verità
acquisita tramite l'esperienza e non inserita nel pacchetto all
inclusive che ti viene propinato appena metti la testa fuori dal
guscio.
Ogni volta che pubblico di questi
sfoghi, un po' me ne pento. Vorrei parlare di cose più importanti di
queste, di interesse comune e non di bieco individualismo e
protagonismo...che detto da un'esibizionista come me è sicuramente
preoccupante. Ma, in fondo, che cosa è un uomo per dare importanza
ai suoi inverni, anche quando sono già così numerosi da fargli
piegare il capo come una pesante nevicata? Tanti altri uomini hanno
vissuto e vivranno la stessa storia, per diventare erba sui colli.
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