mercoledì 7 dicembre 2011

La scuola dell'ignoranza

Che tristezza vedere come la scuola riesca a distruggere la conoscenza!
Sì, proprio la scuola, e cioè quell'ente che dovrebbe preoccuparsi, invece, di divulgare la conoscenza e farla amare al fine di generare individui istruiti e consapevoli.
La scuola a qualunque livello è divenuta ormai solo il mezzo obbligatorio per mezzo del quale ottenere l'indispensabile “pezzo di carta” con cui poter accedere al mondo del lavoro ed ambire ad una posizione migliore.
Peccato che la scuola a tutti i livelli, università compresa, non sappia formare veramente le persone e non sappia dar loro quello che veramente è necessario.
L'amore per la cultura è ormai asservito al sistema dei voti, dei crediti, dei debiti, dei programmi da portare a compimento entro la fine dell'anno a costo di obbligare gli studenti ad impararsi a memoria centinaia di pagine senza averci capito un tubo, solo in vista dell'esame, del compito in classe.
Tutto basato spesso sulla quantità e non sulla qualità.
Mi colgono il disgusto, la tristezza, quando navigando in rete trovo richieste di studenti ad altri studenti di riassunti di libri, di appunti, di tesine preconfezionate e pronte da stampare senza nemmeno leggerne il contenuto.... Ma che razza di scuola è questa? A cosa serve tutto ciò? Non sarebbe meglio, a questo punto, che i giovani, i ragazzi, restassero nella loro ignoranza?
La colpa non è loro, o delle famiglie, o dell'insegnante specifico. La colpa è di un sistema scolastico altamente scadente che non ha più nulla di utile da insegnare.
La scuola che non sa più motivare gli studenti, scuoterli, pungolarli ed appassionarli alla cultura, allo studio.
I voti sono necessari per valutare un allievo, certo. E' indispensabile disporre di un sistema di valutazione che consenta di comprendere chi si impegna e chi no, chi lavora e chi no, chi ha imparato e chi no, ma a volte ho come la sensazione che tutto sia divenuto subordinato al sistema di valutazione: il voto conta più dell'effettivo apprendimento. Che poi, apprendimento...puro nozionismo, diciamolo pure! Perché quella che è andata perduta è l'anima degli insegnamenti, l'essenza, il senso più profondo.
Che importanza ha il riassunto di un libro se non se n'è capito l'insegnamento? Ma non l'insegnamento dato dal professore, bensì quello insito nell'opera. Che senso ha rispondere ad un questionario standard per comprendere se l'alunno ha letto veramente un romanzo se non ha saputo cogliere le emozioni dell'autore ed il suo messaggio?
A me fanno rabbia i grandi capolavori della letteratura strumentalizzati e riadattati ai moderni sistemi di valutazione scolastici. E' come mettere una bomba in mano ad un bambino senza spiegargli di cosa possa essere capace, di quale sia la sua reale potenza e domandargli, molto banalmente, di descriverla.
La letteratura è un'arma, è uno strumento, è quanto di più utile possieda l'uomo per la sua sopravvivenza; mille volte più utile di un'automobile quando si deve compiere un viaggio, di un supermercato aperto fino a tardi quando si ha il frigo vuoto e niente per cena, più utile del denaro per comprarsi un'automobile o fare la spesa...su questo qualcuno potrebbe avere delle riserve. Che cazzo te ne fai della letteratura quando non hai i soldi per vivere? Vero.
Ma la storia dimostra che l'uomo può sopravvivere anche nelle peggiori condizioni fisiche e materiali, nelle carestie, nelle guerre, nelle crisi...provate, però, a togliergli i sogni, le speranze, i pensieri e lo ucciderete.

“COGITO ERGO SUM” ( Penso dunque sono ) diceva Cartesio.
Scuola, insegna ai tuoi allievi a pensare per poter essere e non a castrare la conoscenza e il sapere nei tuoi inutili voti del cazzo che non servono a salvare l'umanità, bensì ad intrappolarla nella schiavitù della dannazione eterna che si chiama ignoranza!

venerdì 2 settembre 2011

Fotografia post mortem

Sin dalle epoche più antiche l'uomo ha sempre allontanato da sé il timore della morte per mezzo di rituali e particolari cure riservate ai defunti, nell'intento di aiutarli a compiere il loro viaggio verso l'oltretomba e non infastidire i vivi dai quali la morte li aveva ineluttabilmente distaccati.
Il dolore per la perdita della persona cara ha sempre spinto gli uomini di tutte le culture e di tutti i tempi ( pare che già i Neanderthal seppellissero i loro morti lasciando vicino alle tombe simboli ed amuleti ) a prendersi cura delle salme e associando il fenomeno della morte a quello del sonno.
Non di rado, infatti, i cadaveri venivano posti nelle fosse, sui catafalchi funebri o sulle pire, come se stessero dormendo un sonno profondo...difatti la posizione orizzontale è generalmente assunta dall'uomo mentre riposa ( o quando è morto ); mentre cioè il suo corpo è inattivo.
Il dormiente non interagisce con il mondo esterno, nel sonno persino i parametri vitali rallentano e questo ricorda molto da vicino come il morto appare agli occhi di chi lo guarda: un individuo assorto, distaccato dalla realtà che lo circonda. Così come l'uomo che dorme è immerso nel mondo dei sogni, il morto è proiettato nel mondo ultraterreno. Per gli antichi, infatti, i sogni erano messaggi divini, direttamente provenienti dal sovrannaturale. Ricordiamo, ad esempio, l'episodio biblico narrato nella Genesi in cui Giuseppe, figlio di Giacobbe, interpretava gli angoscianti sogni del faraone; o ai “libri dei sogni” degli antichi egizi, giunti fino a noi per mezzo di alcuni papiri conservatisi...per non parlare poi della grande considerazione in cui i sogni erano tenuti dai popoli cosiddetti animisti e non solo.
Se quindi le visioni notturne, talvolta enigmatiche, talaltra terribili, accompagnavano il dormiente nel suo misterioso stato di isolamento dal mondo materiale ( un isolamento temporaneo ), di sicuro il defunto doveva potersi spingere ancora più in là, abbandonato definitivamente dal suo spirito che era migrato verso qualche universo spirituale e remoto, inaccessibile ai vivi.
A prescindere da quello che potesse accadere all'anima del caro estinto, in viaggio verso l'aldilà, spesso immaginato come una riproduzione del mondo terreno di gran lunga perfezionato, o talvolta come un mondo puramente spirituale, quello che più premeva a coloro che rimanevano in vita era il dolore straziante che la separazione provocava loro; l'incapacità di accettare che la persona amata non ci fosse più.
Tutti i rituali funebri, la cura della salma, le preghiere, le offerte al defunto, altro non sono state ( ed altro non sono ) in tutte le culture umane, che un modo per elaborare il lutto, cercare di dare alla perdita della persona cara un senso che la renda accettabile. Tra i dolori umani quello del lutto è sicuramente uno dei peggiori e dei più difficili da superare; la consapevolezza che la nostra vita ha un tempo limitato e il mistero di cosa potrebbe esserci dopo, ammesso che ci sia, angosciano da sempre l'essere umano che spesso ha trovato conforto nelle convinzioni di tipo religioso che tendono a dare rassicurazioni riguardo al fatto che con la morte non si assiste ad una fine, ma che si tratta sostanzialmente della chiusura di un ciclo e l'inizio di un altro in cui l'individuo non cessa di esistere, ma va “altrove”, o assume un'altra forma non più fisica pur conservando le caratteristiche intrinseche del suo essere individuo.
Indipendentemente dalle convinzioni di natura escatologica delle persone, la perdita di un familiare, di un amico, di una persona con la quale si sia condiviso un tratto di esistenza, l'accettazione del distacco passa per mezzo di una serie di rituali che comprendono la manipolazione della salma, il contatto reale e materiale con essa come se ancora fosse in vita. Questo implica l'iniziale rifiuto da parte di chi subisce il lutto di considerare la persona cara effettivamente morta.
Quando veniamo colpiti da un lutto, spesso, le reazioni possono essere di due tipi: il rifiutarsi di toccare o vedere la persona morta o, al contrario, il desiderio di starle il più possibile vicino e trattarla come se ancora fosse presente a tutti gli effetti, viva ed esistente.
Spesso nei rituali funebri delle varie culture vi è una componente di convivialità con il defunto, o di condivisione di aspetti festosi e quotidiani. Talvolta si può usare la veglia della salma o il banchetto in una stanza adiacente alla camera del morto che viene lasciata di proposito con la porta aperta affinché il defunto possa “partecipare” insieme a parenti ed amici.
Ogni popolo ha i suoi usi e costumi relativi alla morte, come alla vita.
Vi sono singolari tradizioni del mondo occidentale che spesso sono poco conosciute ai più e, addirittura, non sono ancora state completamente studiate e comprese.
Una di queste è la fotografia post mortem. Pare che questa singolare pratica si sia sviluppata in epoca vittoriana, e comunque intorno alla metà del XVIII secolo. Dal mondo anglosassone sembra poi essersi diffusa anche in alcune parti d'Europa; ad esempio nell'Europa dell'Est ed è rimasta in auge per un secolo. Le fotografie post mortem più recenti risalgono alla prima metà del '900.
Questa usanza consisteva nel ritrarre i defunti poco dopo il decesso, direttamente all'interno della bara posta nella camera ardente, oppure in atteggiamenti del tutto “vitali” e che poco lasciassero intuire del loro effettivo stato di trapassati.
A causa dell'alto tasso di mortalità infantile sono numerosissime le foto post mortem a noi sopraggiunte che ritraggono bambini; questi ultimi spesso venivano fotografati su un divano, a letto, o su un cuscino come se fossero assorti in un sonno profondo, attorniati dai giocattoli preferiti, dai fratelli e, talvolta, dagli animali domestici cui erano stati particolarmente affezionati in vita.
I neonati deceduti durante il parto o nei primi mesi di vita erano tantissimi e spesso venivano fotografati in braccio alla madre, nel lettino o in minuscole bare aperte, adornate di merletti e fiori.
Ma tante sono anche le fotografie che immortalano gli adulti, nei loro abiti migliori, siano essi stati di estrazione umile o benestante. Indipendentemente dai mezzi economici della famiglia, nessuno voleva rinunciare ad una fotografia che riprendesse il caro estinto e ne perpetuasse il ricordo.
In alcuni casi è possibile assistere a composizioni fotografiche di notevole pregio, nelle quali è quasi impossibile riconoscere il morto comodamente seduto ad un tavolo tra i parenti, o addirittura in piedi in compagnia di un familiare.
I fotografi del post mortem dovevano aver sviluppato nel tempo delle abilità considerevoli, non solo nello scatto delle foto, ma anche e soprattutto nella composizione delle salme e dei set.
Ricordiamo che scattare una fotografia a quei tempi era un processo lungo e macchinoso; erano necessari lunghi tempi di posa e non sempre tutto andava per il verso giusto...nulla a che vedere con le macchine digitali, rapide ed indolore a cui siamo abituati oggi!
Tuttavia le tecnologie e le tecniche fotografiche hanno fatto in fretta passi avanti nel corso dell'Ottocento, ma i fotografi dovevano comunque portare con sé un'attrezzatura ingombrante e sicuramente non agevole da trasportare.
Tutto questo unito all'ulteriore abilità che un fotografo che ritraeva morti ( presumo che dovesse essere una vera e propria specializzazione ) doveva avere e cioè quella di comporre le salme in funzione del risultato finale che voleva ottenere. Non so se ci fossero dei compositori di salme specializzati che assistevano il fotografo, magari un vero e proprio staff professionale che si occupava di tutto quello che concerneva l'allestimento del set, ma è assai probabile che gli studi fotografici o i fotografi singoli fossero più che organizzati per assolvere le esigenze dei clienti.
Nei primi anni in cui la fotografia si è diffusa non era molto comune farsi ritrarre visto che si trattava di un processo costoso che non tutti potevano permettersi di sostenere; per questa ragione era frequente che una persona morisse, anche adulta, senza aver mai posato per una foto.
Ma era usanza che la fotografia scattata dopo il trapasso fosse d'obbligo affinché la famiglia potesse conservare un ricordo nitido della persona scomparsa...se poi la foto era composta in maniera tale che il defunto sembrasse ancora vivo, era molto meglio. I fotografi del post mortem erano anche molto abili nel ritoccare i ritratti, dando colorito alle gote delle salme e dipingendo gli occhi aperti sulle palpebre chiuse...una sorta di Photoshop ante litteram, eseguito con pennello e colori direttamente sulle fotografie.
Questo delle fotografie ai morti era un fenomeno assai diffuso e considerato del tutto naturale, a dispetto di come potrebbe apparire ai nostri occhi. In una società come quella vittoriana in cui tutto ciò che non fosse considerato in linea con i severi principi della corona britannica andava rigorosamente censurato, nemmeno la morte poteva essere risparmiata e mostrata liberamente per quella che è, infatti i morti venivano sapientemente camuffati affinché sembrassero ancora vivi.
Una manifestazione molto singolare e curiosa in un secolo non ancora del tutto studiato e approfondito quale l'Ottocento, che sembra però rispecchiare, senza alcuna difficoltà di analisi, l'atavico desiderio umano di sopraffare ed esorcizzare le paure e le sofferenze connesse alla morte.



mercoledì 18 maggio 2011

Necrofilia

Sono sincera: a me, di chi ha ucciso Melania Rea, Sarah Scazzi, Yara Gambirasio, e chi più ne ha più ne metta, non me ne frega niente.
Non che non mi dispiaccia che delle persone vengano private, da parte di qualcuno, del diritto a vivere; semplicemente sono stufa di questi processi mediatici e di questi fatti di cronaca ( manco fossero gli unici casi di omicidio in Italia ) che occupano per mesi pagine e pagine di giornali; dove tutti si sentono in diritto di esprimere un'opinione sulla base di quanto scritto o detto dai giornalisti; dove tutti si sentono dei grandi detective.
Per le indagini esistono già gli inquirenti, che sanno fare il proprio lavoro e non hanno certo bisogno di talk show, giornalisti o deduzioni di comuni cittadini non coinvolti direttamente nei fatti, per incastrare i colpevoli.
Quello dei gialli e degli omicidi, è divenuto ormai un business di tutto rispetto e di discutibile gusto entro cui sguazzano pesci di tutte le razze; per lo più pescecani pronti a sbranare e maciullare la dignità delle vittime.
La cosa svilente è che spesso questi predatori non sono solamente fotografi e giornalisti con tutte le corti di giullari e saltimbanchi che popolano i salotti televisivi arrogandosi il diritto di parola in nome di non si sa bene quale meriti intellettuali e/ o artistici; ma sono familiari e parenti stessi delle vittime che non perdono occasione per costruire sulla tragedia il proprio trampolino di lancio verso il successo.
Potremmo intavolare una lunga discussione sulla decadenza dei costumi; su quanto sia diseducativa questa televisione che trasmette come unico valore quello dell'apparire senza meriti particolari, né abilità effettive...ma obiettivamente non è di questo che voglio parlare, quantomeno non in senso stretto.
Più che altro sono stufa che la mente dei cittadini venga costantemente impegnata in questi fatti di poco conto per quanto riguarda gli interessi comuni. Dispiace che una persona venga assassinata, ci mancherebbe altro, ma in fondo a noi che cazzo ce ne frega?! E' morta. Basta, non c'è più.
Smettiamola con questo buonismo, con questa pseudo solidarietà nei confronti dei parenti delle vittime. Ogni giorno muoiono un sacco di persone, molte vittime di omicidi di cui magari i media nazionali nemmeno parlano, e allora? Sono morti, punto. E chi di dovere si occuperà di trovare l'assassino e processarlo. Non c'è bisogno del nostro aiuto, delle nostre intuizioni, del nostro talento di fan incalliti di CSI, e nemmeno della nostra compassione. I morti non hanno bisogno di compassione; i morti non soffrono.
Solidarietà ai familiari delle vittime, mi sta bene. Una lettera, poche parole. Non c'è bisogno di invitarli a tutte le trasmissioni televisive ogni giorno; questa non è compassione, non è solidarietà: è uno schifo!
Come si fa ad avere voglia di stare in uno studio televisivo, mentre si ha un familiare sul tavolo di un obitorio? E' per chiedere giustizia, dicono. Ma quale giustizia?! E a chi poi? Ai telespettatori?
La giustizia si chiede in tribunale, non in televisione.
Basta con questi vergognosi processi mediatici, basta! Mi sono rotta le palle di leggere ogni volta pagine e pagine di giornali e sentire ore ed ore di dirette televisive dedicate a questi casi di omicidio, dove tutti i presunti esperti ed intellettualoni fanno a gara per dare una propria versione ed interpretazione dei fatti. Sono individui insulsi che dovrebbero dedicare il proprio tempo e le proprie facoltà mentali in questioni di maggior rilevanza, anziché passare ore a speculare sui morti, coi deretani incollati alle poltrone degli studi televisivi e pagati a peso d'oro.
E questi talk show non fanno che mettere in risalto fatti letti su quotidiani o notizie passate ai telegiornali...quindi processi basati su reinterpretazioni dei giornalisti e non sui eventi reali.
Il cavallo di battaglia di queste trasmissioni sono i resoconti da obitorio; i dettagli più macabri dell'omicidio: quante coltellate; presenza o meno di segni di violenza sul cadavere; stato di decomposizione.... Al solo scopo di fare leva sulla necrofilia della gente.
Siamo un paese di necrofili. Ci piacciono i morti, ci interessano i morti. E vogliamo sapere in quante parti è stato smembrato un cadavere; come si è decomposto; in che posizione l'hanno trovato...i cadaveri fanno schifo; i cadaveri puzzano! La gente è attratta dal fetore della morte. Non solo necrofila, ma anche necrofaga, assetata di sangue e putrefazione.
Probabilmente se li vedessero per davvero quei cadaveri, passerebbe loro la voglia. I morti sono brutti. Non importa quanto fossero belli in vita: da morti facciamo tutti schifo.
Le persone dovrebbero interessarsi al bello, all'arte; invece si interessano solo di sesso e di morti. E di soldi, anche. In televisione mostrano solo quello. Sesso, morte e soldi.
Ma a chi continua a pararsi dietro la pallida motivazione della giustizia; del fatto che la spettacolarizzazione televisiva della morte ha lo scopo di dare visibilità a casi che richiedono giustizia, io dico questo: chiedete giustizia per dei morti che nemmeno conoscete, e di cui non avreste saputo nemmeno che erano in vita se non fosse stato per i media, in quel caso urlate e reclamate giustizia perchè gli assassini devono pagare, e non vi curate minimamente del fatto che mantenete ogni giorno dei criminali che se la spassano alle vostre spalle e girano impuniti con tanto di scorta e auto di lusso.
Questi non sono assassini? Non ci vuole giustizia in questo caso?
Oh, ma che cazzo ve ne frega di gente morta che manco conoscete; preoccupatevi dei reati che vengono mossi contro voi stessi, piuttosto!
Questi criminali sono peggio del pazzo omicida che smembra un cadavere; molto peggio.
Sono peggio perchè agiscono scientemente; perchè ci vogliono ridurre ad un paese di morti che si interessano di morti; perchè uccidono le menti; anestetizzano le coscienze. E una coscienza anestetizzata e l'anticamera della morte.
SVEGLIATEVI!

giovedì 5 maggio 2011

Caccia al leone

La caccia al leone si è conclusa tre giorni fa, dicono.
L'evento tanto atteso negli ultimi dieci anni, la ragione che avrebbe mosso gli eserciti occidentali a perpetrare azioni militari in Afghanistan, l'obiettivo numero uno dei servizi segreti statunitensi: la cattura di Bin Laden è avvenuta, a detta di Obama, lunedì. In meno di un giorno tutto si è compiuto; dal blitz che lo avrebbe ucciso, all'identificazione per mezzo della prova del Dna, agli sbrigativi funerali a bordo di una portaerei americana, alla sepoltura in mare.
In meno di un giorno il numero uno di Al Qaeda è sparito dalla faccia della Terra.
Parola di Barack Obama. A dieci anni dall'11 settembre e a uno dalle presidenziali...quando si parla di coincidenze.
Ma nessuno ha visto niente. Le foto del cadavere sono state negate alla stampa e ai media “ perchè troppo crude” spiega il Presidente degli Stati Uniti, dove le esecuzioni capitali vengono svolte dinnanzi agli spettatori con tanto di posti a sedere.
Buona parte degli altri terroristi catturati sono detenuti a Guantanamo; Bin Laden no, ammazzato al volo con un proiettile in testa e buttato in mare dove nessuno potrà mai più recuperarlo, né verificare alcunché. E' strano, voi che dite?
Per dieci anni l'hanno cercato in Afghanistan, tra le montagne. Un dializzato che aveva bisogno di costanti cure mediche. Sapendo che il Pakistan da sempre parteggia per lui.
E ancora: ci hanno messo DIECI anni a trovarlo...scusate, ma che servizi segreti di merda hanno gli Stati Uniti?!
Bin Laden è morto. Questo, per logica, dovrebbe essere certo. Morto o uscito di scena col suo consenso in maniera definitiva. E per molti questo è ciò che conta: l'aver cancellato per sempre il mostro. Basti pensare alle scene trasmesse in tv nella giornata di lunedì, che ritraevano piazze statunitensi gremite di persone festanti e in preda ad una sorta di delirio collettivo. Come se l'eliminazione fisica di Bin Laden ponesse fine a tutti gli effetti al terrorismo di matrice islamica, o come se essa fosse una tappa indispensabile per estirpare il Male dal mondo.
Senza riflettere nemmeno un istante sul fatto che Bin Laden non era che un esponente di un'ideologia che continua a vivere; il suo posto è stato preso da altri. Il terrorismo non ha cessato di esistere il 2 maggio scorso.
E non saranno certo le guerre o gli interventi armati ad annientarlo.
Ma a nessuno di quegli americani euforici ed ubriachi è passato per la mente il sospetto che ci fossero troppe incongruenze nelle dichiarazioni del loro Presidente, né che Bin Laden ormai non era divenuto altro che un personaggio mitologico da tirar fuori come spauracchio al momento del bisogno.
A tanto può portare la suggestione. A chiudere gli occhi ed annebbiare le menti.
Dieci anni di sbattimento per acciuffare questo Satana islamico, e nemmeno ne vogliono mostrare le immagini...mentre quelle delle altre vittime del blitz stanno iniziando a circolare.
Due secoli or sono, nella terra di Obama, i pionieri avevano il loro bel daffare nell'invadere i territori dei nativi. I boscaioli addetti all'importantissimo rifornimento di legname, ottenevano una paga doppia se erano costretti a lavorare in aree “infestate” dagli indigeni. Ma dovevano dimostrarlo con gli scalpi: prova dell'inequivocabile presenza ed uccisione del nemico.
Ma il Presidente è il Presidente. Lui non ha bisogno di dimostrare: nei suoi riguardi vale solo l'atto di fede.
No, ma scusate, io dico: che strani questi americani! Dieci anni di estenuante caccia al leone...e nemmeno si sono voluti togliere la soddisfazione di esibirne la pelliccia?

domenica 3 aprile 2011

Astenia

Da alcuni giorni sono attanagliata da una stanchezza incredibile; probabilmente sono gli arretrati di sonno che iniziano a farsi sentire imponendomi, mio malgrado, il riposo.
Faccio fatica a scrivere, a leggere, ad elucubrare. Questo mi infastidisce perché avrei molto da dire, ma non riesco a dare forma ai miei pensieri.
Forse avrei bisogno di stare un po' più fuori, all'aria aperta...difatti ora scrivo in giardino, visto che il tempo è ottimo.
La primavera sembra essere esplosa in un momento: vedo le piante fiorite; le prime gemme sugli alberi; i fiori nei prati...la natura che si sta svegliando quando, fino a poco fa non sembrava volersi scrollare di dosso gli artigli gelidi dell'inverno. Forse sono io che vivo in un'altra dimensione; troppo assorta nelle mie riflessioni e in me stessa per rendermi conto di quello che mi accade intorno.
Questa mia natura introspettiva spesso è più un difetto che un pregio e mi porta ad estraniarmi rispetto al mondo che mi circonda nelle immediate vicinanze; un mondo di cui, in fondo, non me ne è mai importato nulla; un mondo fatto di motivazioni superficiali ed inutili; un mondo di idioti che si perdono in questioni idiote relative ad altri idioti, altrettanto ignari di esserlo e convinti di aver trovato ragioni più che valide per vivere.
Questa mia natura di anacoreta, amante del silenzio e della solitudine, è poco idonea al chiasso di cui le persone amano circondarsi.
E, pur soffrendone alle volte, so che la mia parziale estraniazione dal mondo è l'unico mezzo per conservare quella tensione necessaria che mi consente di meditare, di creare, di dare forma ai miei pensieri e alle parole che mi rimbalzano nella testa.
Se è vero che soffrire è produrre conoscenza, allora questa mia sofferenza della solitudine un po' subita e un po' auto imposta, non può che essere accettata e desiderata quale mezzo di crescita e di evoluzione...che sembra un po' una contraddizione in termini, visto che non può esserci crescita senza l'altro; senza l'interazione col mondo.
E quel desiderio dell'altro che è totale, assoluto, oppure nullo; o è troppo, o è troppo poco. Senza vie di mezzo...come sono io, del resto. Bisognosa di un desiderio talmente forte da sostenermi; su cui poter poggiare i piedi, per questo deve essere assoluto, prepotente, estremo. Ciò che la maggior parte dei rapporti umani non può essere; eccetto il rapporto con me stessa, feroce, combattuto, sofferto, accondiscendente, sprezzante, ficcante, sferzante, esigente....
Scrivere e pensare sono due delle poche cose che mi fanno ancora stare bene, anche se non so scrivere e nella mia mente non si annidano altro che idee balzane. Da qualche mese strimpello la chitarra, quindi si è aggiunta una nuova attività a darmi piacere. I risultati sono penosi, ma cantare accompagnandomi con la chitarra mi distende. Ho provato anche a musicare alcune mie poesie...senza prendermi troppo sul serio, s'intende, ma è stato un modo carino per trascorrere qualche ora serena.
Per il resto sento di non potermi concedere il lusso di una banale, frivola felicità. In fondo la gente è felice quando è inconsapevole, e la mia stagione di inconsapevolezza l'ho superata da un po'; dal momento in cui ho perso l'illusione che la felicità fosse lì, pronta per essere colta come un frutto dall'albero.
Magari quella agognata felicità esiste anche, ma non riesco a concepirla se non come il risultato di sforzi immani e mirati a raggiungerla. La felicità non è dovuta e, in fondo, altro non è che una condizione interiore.
Tutte le mie aspettative di un tempo si sono via via infrante contro una scogliera di verità a me, sino ad allora, ignote. Ma se dovessi scegliere tra il mio essere di un tempo, ignara ed illusa, e quel che sono oggi, sicuramente non esiterei. Preferisco di gran lunga la consapevolezza, per quanto dolorosa, perché è un passo verso la verità; verso una verità acquisita tramite l'esperienza e non inserita nel pacchetto all inclusive che ti viene propinato appena metti la testa fuori dal guscio.
Ogni volta che pubblico di questi sfoghi, un po' me ne pento. Vorrei parlare di cose più importanti di queste, di interesse comune e non di bieco individualismo e protagonismo...che detto da un'esibizionista come me è sicuramente preoccupante. Ma, in fondo, che cosa è un uomo per dare importanza ai suoi inverni, anche quando sono già così numerosi da fargli piegare il capo come una pesante nevicata? Tanti altri uomini hanno vissuto e vivranno la stessa storia, per diventare erba sui colli.

giovedì 31 marzo 2011

Guerrafondai

In questi giorni, tra le varie cose, ho seguito le notizie provenienti dalla Libia e i resoconti delle reali o presunte azioni militari compiute dalla coalizione che, da un paio di giorni, parrebbe essere sotto il comando della NATO.
Stamattina ho sentito una dichiarazione di Napolitano, il quale sosteneva che il nostro impegno in Libia non è quello di esportare la democrazia, ma di proteggere i civili.
Davvero? Beh, ma se stiamo proteggendo i civili, allora mi sento più tranquilla.
Il regime Gheddafi imprigiona, tortura e massacra civili da 40 anni. E a noi dei civili libici non ce n'è mai fregato un cazzo.
Però, oggi, abbiamo bisogno di un casus belli, di una giustificazione per spiegare la nostra inutile presenza in una guerra in cui non ci stiamo schierando apertamente perchè non ci conviene farlo...così ci spacciamo per le dame di San Vincenzo.
Ma tutto ciò non mi stupisce affatto. Niente di nuovo sotto il sole: le guerre si sono sempre giustificate con pretesti assurdi, da che mondo è mondo. Quindi, in sostanza, chissene fotte di queste risibili dichiarazioni.
A me fanno incazzare i potenti che ci raccontano balle, e mi fanno incazzare i politici che agiscono per i propri interessi spacciandoli per bene comune.
Ma mi incazzo ancora di più pensando a noi cittadini, brava gente, che ci scandalizziamo quando scoppiano le guerre ( quelle che ci coinvolgono, principalmente ); che proviamo compassione per i poveri civili che subiscono i conflitti in casa propria; che ci definiamo pacifisti e sfiliamo nelle strade, manifestiamo nelle piazze, gridiamo no alla guerra; noi cittadini perbene, noi timorati di Dio, noi intrisi di etica e morale, noi schierati dalla parte dei “buoni”, noi guerrafondai del cazzo!
Per inciso: le guerre non piacciono a nessuno. Solo ai pazzi omicidi, forse, o ai coglioni e ai potenti che hanno degli interessi considerevoli in ballo.
Nemmeno a noi piacciono, ovviamente. Eppure non facciamo niente per impedirle.
Voi potreste tranquillamente ribadire che se i governi decidono di fare le guerre, noi non possiamo fare nulla se non protestare, o magari raccogliere firme; all'estremo non pagare le tasse per esprimere in maniera concreta il nostro dissenso.
Sì, va benissimo. Piuttosto che fare le solite manifestazioni e petizioni che non servono a un cazzo, sarebbe più opportuno non pagare le tasse ed evitare di foraggiare queste assurdità.
In linea di principio ci può anche stare. Ma il punto è un altro.
Il punto è che è facile incolpare sempre gli altri quando le cose non vanno, quando tutto va in malora. Ognuno ha la propria parte di responsabilità, sia chiaro. I potenti che vivono sulle nostre spalle sono degli stronzi; non è gente perbene quella...ma noi non siamo meno disgraziati di loro.
Sono convinta che la maggior parte di noi, al loro posto, sarebbe stronza uguale se non peggio.
Quindi smettiamola di scandalizzarci e fare i moralisti, ma soprattutto di giudicare chi sta al potere dicendogli come si dovrebbe comportare, ben sapendo che tanto non lo farà mai...sembra un po' un modo di giustificarsi, il nostro, no? Come dire:” Combatto per una causa che so già persa in partenza, perchè i ricchi sono stronzi e non ascolteranno mai le nostre parole.” Quindi combattiamo contro i mulini a vento con tante belle parole; con le manifestazioni in piazza; con raccolte di firme che rimarranno a marcire dentro qualche vecchio cassetto tarlato. Ma, in sostanza, stiamo solo sprecando il nostro tempo e le nostre energie. Stiamo simulando la protesta; stiamo fingendo di opporci ad un sistema che, in realtà, ci sta bene così.
Sì, ci sta bene così, su, smettiamola di sparare cazzate.
Ci sta bene così perchè, in sostanza, non facciamo nulla e, tutto quello che facciamo, e ci sembra di fare per migliorare le cose, è politicamente corretto, non è rivoluzionario, non è controculturale.
Non è che le controculture abbiano migliorato il genere umano, sia ben inteso, per quello non ci sono speranze temo.
Ma se veramente ci si vuole dichiarare pacifisti e anti- nuclearisti, per fare degli esempi, non è possibile essere politicamente corretti. Il nostro dissenso non vale un cazzo se non è supportato da azioni concrete. Chissene fotte delle manifestazioni; chissene fotte della raccolta differenziata se poi si usa l'auto per fare 10 metri; chissene fotte di supportare l'ENPA se poi si mangia la carne proveniente dagli allevamenti ( i vegani saranno anche pazzi per certi versi, ma sono coerenti...i vegani veri, intendo ); chissene fotte di scendere in piazza con le bandiere della pace se non facciamo nulla per boicottare le fonti di energia che ci serve importare da altri paesi.
Sì, perchè noi stiamo qui a deplorare la guerra al pc, con la luce accesa, i termosifoni funzionanti, coi serbatoi delle auto pieni. Usiamo e sprechiamo, spesso, quelle fonti di energia.
Quindi abbiamo poco da fare i pacifisti perchè puntiamo il dito contro i governi, ma sfruttiamo fonti di energia che ci vengono fornite per mezzo di accordi con paesi come la Libia.
Viviamo in un paese in tutto e per tutto dipendente da altre nazioni, ma nessuno di noi ( o forse pochissimi ), mette in discussione il proprio stile di vita.
E' vero: non sarebbe possibile vivere senza le fonti di energia o i comfort cui siamo avvezzi. E' utopistico probabilmente...ma è anche quello a cui si andrà incontro quando i paesi da cui dipendiamo ci taglieranno gas, metano, petrolio, ecc.
A quel punto, forse, si sveglieranno ad istituire fonti di energia alternative, dopo che per anni le hanno definite inefficaci ( per il loro portafogli senz'altro ).
Ma la dobbiamo piantare di accusare i potenti; di fare le vittime, gli oppressi...noi siamo in tanti, loro pochi. Hanno i soldi, hanno le armi, hanno le prigioni...ma questo non ci giustifica comunque.
Se davvero non ci sta bene una cosa, opponiamoci, boicottiamola. Ma è sicuramente più facile lamentarsi e accusare, quando noi, ciascuno di noi, nel nostro piccolo favoriamo queste guerre, queste ingiustizie. Le favoriamo con le nostre vite.
Guardiamoci allo specchio domattina e guardiamoci per quel che siamo: i veri fautori delle guerre.
I veri carnefici. E, nel momento in cui sappiamo, niente ci può più giustificare.

domenica 27 marzo 2011

L'aria della notte

Stanotte il letto è troppo vuoto per dormirci.
Lo è sempre vuoto, ma stanotte più del solito. Chissà perché.
Forse sono io ad essere stanca, ad essere un po' logora; provata da questa vita in continua tensione, senza riuscire a trovare pace in nessun luogo né dentro, né fuori di me.
Senza riuscire a capire cos'è che non funziona. Senza sapere quanto mi rimane davanti e che senso abbia questa esistenza.
Ma, soprattutto, è necessario che abbia un senso? Forse conta solamente vivere; il senso glielo si dà alla fine. È così? Probabilmente è così.
Ma cosa resta del vuoto nel mio letto e di tutte le domande senza risposte nella terra di nessuno tra me e gli altri? Solo ombre.
L'aria, di notte, ha un odore differente. Per questo ho la finestra aperta sulla siepe di casa mia e su uno squarcio di cielo che mi lascia intuire appena la vastità del mondo là fuori.
La notte sa di rimpianti, di silenzi, di nostalgie sepolte chissà dove tra le pieghe dell'anima.
Non è abbastanza oscura per occultare i cadaveri dei sentimenti squartati ed esangui, ma è tetra quanto basta per far largo a fantasmi assassini e ladri di memorie.
E' nell'atto ancestrale delle stelle, che temano vivide e malferme nel loro giaciglio di velluto nero, l'eternità.
Ma cosa è eterno? Cosa infinito? Nulla. Nemmeno il cielo.
Le stelle muoiono, io muoio. Le mie parole muoiono sulle labbra. I miei pensieri muoiono sulla carta.
Ma cosa significa, poi, vivere? Esistere, esserci...cosa significa? Basta semplicemente esserci, o c'è qualcosa di particolare che bisogna fare per poter affermare di essere vivi?
Per cosa vive la gente, là fuori? La gente che ora dorme, ignara. Vive per qualcosa di grande, di meritevole, di glorioso, di irrinunciabile? Oppure vive così, come viene, senza uno scopo apparente?
A volte mi domando se le piccole ed insignificanti ragioni per le quali molta gente sembra vivere, non siano in realtà le vere ed uniche ragioni per cui vivere. Forse sono io a cercare qualcosa che non esiste.
Forse basterebbero due braccia a darmi, non dico tanto, ma almeno una ragione per andare a letto; almeno due minuti di serenità prima di addormentarmi. Ma è un privilegio, e forse una consolazione, che io non mi posso concedere.
Leggo Céline, e lascio il letto vuoto, stanotte.

venerdì 25 marzo 2011

Disobbedienza civile


 
Di fatto, non è dovere di un individuo dedicarsi all'estirpazione del male, anche del più grande; giustamente, egli potrebbe avere altre faccende che lo occupano; ma è suo dovere, almeno, tenersene fuori e, se non vi pensa oltre, non dargli il suo supporto praticamente.”
 
Tutti gli uomini riconoscono il diritto alla rivoluzione, quindi il diritto di rifiutare l'obbedienza, e d'opporre resistenza al governo, quando la sua tirannia o la sua inefficienza siano grandi ed intollerabili.”
 
Coloro che, pur disapprovando il carattere ed i provvedimenti di un governo, gli concedono la propria fedeltà ed il proprio appoggio, ne sono senza alcun dubbio i più coscienziosi sostenitori, e costituiscono molto di frequente i più seri ostacoli alla riforma.”
 
Se l'ingiustizia è parte del necessario attrito della macchina del governo, lasciamo stare, lasciamo stare: forse esso si attenuerà, - certamente la macchina si logorerà. Se l'ingiustizia ha una molla, o una puleggia, o una corda, o una manovella esclusivamente per sé, allora si può forse considerare se il rimedio non sia peggiore del male; ma se è di una natura tale da richiedervi d'essere l'agente dell'ingiustizia nei confronti di un altro, allora, io dico, che s'infranga la legge. Lasciate che la vostra vita faccia da contro-attrito per fermare la macchina. Ciò che devo fare è accertarmi, in ogni caso, che non mi sto prestando al male che condanno.”
 
Una minoranza è senza potere quando si conforma alla maggioranza; non è nemmeno una minoranza in tal caso; ma è irresistibile quando è d'intralcio con tutto il suo peso. Se l'alternativa è tenere tutti gli uomini giusti in prigione, oppure rinunciare alla guerra ed alla schiavitù, lo Stato non avrà esitazioni riguardo a cosa scegliere. Se mille uomini non pagassero quest'anno le tasse, ciò non sarebbe una misura tanto violenta e sanguinaria quanto lo sarebbe pagarle, e permettere allo Stato di commettere violenza e di versare del sangue innocente. Questa è, di fatto, la definizione di una rivoluzione pacifica, se una simile rivoluzione è possibile. Se l'esattore delle tasse, od ogni altro pubblico ufficiale, mi chiede, come uno ha fatto, "Ma cosa devo fare?" la mia risposta è, "Se vuoi davvero fare qualcosa, rassegna le dimissioni". Quando il suddito si è rifiutato di obbedire, e l'ufficiale ha rassegnato le proprie dimissioni dall'incarico, allora la rivoluzione è compiuta.”
H.D. THOREAU, “ Resistenza al governo civile”.
 
 
È questo governo malato, ipocrita, marcio. È questo governo che dice di occuparsi dei nostri interessi, ma si fa solo i propri. Questo governo che se ne fotte della propria Costituzione, della volontà dei cittadini, delle leggi. Questo governo ladro che vive sulle spalle di chi si fa il culo ogni giorno per pochi soldi, con una famiglia da mantenere. Questo governo che ci trascina in una guerra del cazzo spacciandola per l'ennesima missione umanitaria; “ Missione dell'ONU”, quando l'ONU ancora non sapeva niente di quello che stava accadendo.
Questo governo che ci rende la vergogna d'Europa. Questo governo che se ne fotte della salute della gente sostenendo il nucleare, quando tutti ormai lo rifiutano.
Questo governo che non fa funzionare nulla. Questo governo che sarebbe comunque scandaloso, anche se al suo posto ci andasse l'opposizione.
È questo il governo che vogliamo?
Winston Churchill ( o Aristotele, o chi per esso ) diceva che ogni popolo ha il governo che si merita.
Penso sia vero. Non perché un popolo sia tanto indegno da meritare un governo osceno, bensì perché non fa nulla per contraddire ed ostacolare un governo indegno.
Il malcontento non basta. Bisogna boicottare quello che non funziona.
L'opposizione violenta non porta a nulla, se non alla violenza. Ci vuole un contrasto pacifico ma deciso.
Quale interesse possiamo avere nell'assecondare un governo che tradisce i nostri principi e persino i propri? Che interesse possiamo ricavare dall'incoerenza di una classe politica che non si occupa di noi se non a parole? Ma ci serve un governo del genere? Ci lamentiamo, brontoliamo tra di noi, ci incazziamo...ma continuiamo a sostenerlo. Diciamo di no ma lo sovvenzioniamo. Siamo sfiduciati e stanchi, ma andiamo a votare gente che non ci rappresenta. Manifestiamo contro una cosa, ma l'indomani continuiamo ad obbedire alle leggi assurde che ci impongono.
Paghiamo le tasse per vederle finire nelle tasche dei soliti pochi; per sovvenzionare le guerre coloniali ( perché, di fatto, sono guerre coloniali...anche se non esistono più le colonie ), quando invece dovrebbero pagare i molteplici servizi di cui noi cittadini abbisogniamo. E, lo sappiamo tutti che in Italia non funziona un cazzo o quasi. Come mai? Perché mancano i soldi.
Poi non vogliamo parlare di politica, se no ci innervosiamo, ci roviniamo la giornata, ci viene l'ulcera.
Perché dovremmo incazzarci e basta quando possiamo boicottare lo Stato? Quando possiamo dire:” No, grazie. Io non sono d'accordo. Io non do i miei soldi a quattro stronzi che non fanno un cazzo, anziché occuparsi del bene comune, come dovrebbero.”
La nuova invenzione è che i soldi per la cultura li vogliono ricavare aumentando il prezzo della benzina. E io smetto di usare l'auto. Io vado a piedi. Perché cazzo devi aumentare il prezzo di una cosa per fare uscire i soldi per un'altra quando, con tutte le tasse che paghiamo, dovremmo essere uno stato efficientissimo in cui ai cittadini non è negato alcun servizio necessario e la cultura il fiore all'occhiello di un paese che possiede un patrimonio culturale ed artistico immane?
No. Devono aumentare i prezzi di tutto per ricavare i soldi necessari per qualcos'altro; sempre gravando sulle spalle del cittadino, mai toccando i loro stipendi.
Ma che razza di governo è?! Ma io dovrei dare i miei soldi a questi ladri, a questi scrocconi?!
Ma andassero a fare in culo!
Io non voglio che i miei soldi vadano a finanziare le azioni militari. Non voglio che i miei soldi paghino le loro puttane o la loro droga.
Io non pago più le tasse. Io me ne strafotto; come, del resto, loro se ne strafottono di me.
Questo dovremmo fare! Smettere di votare e di pagare le tasse.
La ragione per cui questo non sarebbe concretamente attuabile, sta nel fatto che siamo a tutti gli effetti dipendenti dallo Stato.
Dovremmo trovarci nella condizione di essere autosufficienti, e così poter scegliere se aderire o meno alle iniziative del governo.
Non pagare le tasse è una scelta che potrebbe, di fatto, ripercuotersi su noi stessi...ma è più conveniente pagarle e vederle finire nelle tasche dei ladri o a sovvenzionare cose che rifiutiamo; o non pagarle e permettere che le cose cambino? Dare, quantomeno un input affinché qualcosa si muova.
Dovremmo essere nella condizione di poter dire di no, liberamente. Ma mi rendo perfettamente conto che non lo siamo; siamo schiavi di questo stato e finché ne saremo schiavi non potremo dire di no senza subire delle conseguenze.
A questo punto resterebbe da chiedersi se vale di più essere ligi o liberi.
Io credo che dovremmo imparare a disobbedire un po' di più quando, in sostanza, ci conviene farlo.
Dovremmo imparare a tutelare maggiormente i nostri interessi, perché nessun altro lo farà per noi.
Se non siamo d'accordo, dovremmo agire come chi non è d'accordo.

lunedì 21 marzo 2011

Educazione militare

Questa non è una notizia di attualità. Credo che tutti ne abbiamo sentito parlare mesi addietro: si tratta della proposta avanzata dal ministro La Russa, in collaborazione con la Gelmini, di istituire corsi di educazione militare nelle scuole superiori.
Inutile esplicare in questa sede le ragioni, a mio avviso più che ovvie, per le quali tale iniziativa sia un'ulteriore caduta verso il basso della scuola italiana, che già allo stato attuale, non versa in condizioni invidiabili.
Credo sia superfluo ricordare che fenomeni analoghi si sono già verificati nel nostro paese durante il Fascismo, quando si progettava di formare nuove generazioni di militari pronti a servire il regime...del resto non c'è da stupirsi: tutti noi conosciamo l'orientamento politico del signor La Russa e le sue sparate ( manco a farlo apposta, m'è uscito questo sostantivo ) tutt'altro che originali ed innovative.
Personalmente mi pongo una domanda: a cosa serve agli studenti delle scuole superiori imparare a sparare?
Perché un ragazzo dovrebbe imparare a sparare? A livello formativo a cosa serve saper maneggiare un'arma?
Per non far apparire la mia lettura di questi corsi di educazione militare riduttiva, specifico che la proposta include anche attività quali corsi di primo soccorso, arrampicata, nuoto e salvataggio e orienteering; più una sezione teorica dedicata all'insegnamento del Diritto e della Costituzione.
Tutto questo avrebbe la finalità di far acquisire agli studenti sicurezza, spirito di squadra, capacità di cooperare ed avvicinarli in maniera coinvolgente ad organismi ed istituzioni quali Esercito, Croce Rossa Italiana, Protezione Civile. Tutto ciò condito dai soliti, maledetti, ormai onnipresenti crediti formativi.
Trovo che lo studio del Diritto e della Costituzione male non possa fare, anzi, semmai dovrebbe naturalmente rientrare in un percorso formativo scolastico che include l'Educazione Civica.
Tolte arrampicata, nuoto, orienteering e quant'altro che fatico a considerare skills di primaria importanza al di fuori di un contesto militare, credo che l'unico suggerimento valido riguardi l'insegnamento del primo soccorso.
L'Italia è un paese ancora arretrato per quanto concerne la cultura del primo soccorso. Il cittadino medio, l'uomo della strada, non solo raramente sa come comportarsi in caso di emergenza sanitaria, ma spesso non sa nemmeno riconoscere un'emergenza sanitaria.
In casi limite, addirittura, non sa nemmeno attivare il sistema di Emergenza- Urgenza ( la chiamata al numero gratuito 118 ).
Nel nostro paese manca, e si tratta di una lacuna grave, una vera e propria cultura volta a formare ed informare la cittadinanza su quanto concerne il primo soccorso.
Spesso le associazioni di volontariato che si occupano di Emergenza- Urgenza tengono corsi aperti alla popolazione, con la finalità di fornire ai partecipanti qualche rudimentale strumento teorico- pratico, al fine di poter fronteggiare al meglio situazioni di emergenza sanitaria, in attesa dell'arrivo dei soccorsi.
Questi incontri, però, riscuotono sempre un numero di adesioni bassino: la maggior parte delle persone, forse, non avverte come importante ed essenziale possedere delle nozioni di primo soccorso. Un simile atteggiamento è, evidentemente, frutto di una mancata informazione e dell'assenza pressoché totale di un'educazione sanitaria.
Avvertire queste tematiche come estranee è sinonimo di ignoranza e di scarso senso civico, perché riguardano tutti, senza esclusione di colpi.
Il primo soccorso dovrebbe essere insegnato nelle scuole; i giovani avvicinati al mondo del volontariato poiché, non dimentichiamolo, in Italia l'emergenza sanitaria è interamente nelle mani dei volontari.
Non solo Croce Rossa Italiana, come prevede la proposta di La Russa. La Croce Rossa è un ente paramilitare che gode di sovvenzioni statali, ma non è l'unico ad occuparsi di emergenza sanitaria sul territorio nazionale: abbiamo ANPAS ( Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze ) che dal 1904 raduna tutte le associazioni volontarie laiche, nate dalla libera iniziativa di cittadini mossi dagli ideali di solidarietà, condivisione e servizio disinteressato. Le Pubbliche Assistenze, appunto, aventi lo scopo di occuparsi di chiunque esprima un bisogno, senza porre condizioni all'aiuto prestato e aperte a chiunque voglia prendervi parte.
ANPAS svolge un ruolo fondamentale e primario nel nostro paese, anche se meno nota rispetto alla Croce Rossa. Qualitativamente, per quanto riguarda l'emergenza sanitaria, i due enti si equivalgono; hanno percorsi formativi differenti e seguono protocolli di soccorso lievemente diversi, ma la sostanza si equivale in termini di servizio.
Ad ogni modo, sono più che mai convinta che una cultura del primo soccorso sia necessaria, e l'istituzione che maggiormente dovrebbe occuparsene è la scuola. Formare i giovani ed educarli ad una maggior sensibilità verso le tematiche inerenti l'emergenza sanitaria, credo sia doveroso in un paese civile.
Sicuramente più dell'educazione militare. In Italia è stata abolita persino la leva obbligatoria...che senso avrebbe insegnare a sparare nelle scuole? O far intraprendere ai ragazzi percorsi di guerra con tanto di fossi e reticolati?
Per l'attività fisica esiste lo sport e ce n'è per tutti i gusti.
E poi, non me ne voglia il signor ministro, ma ritengo molto più probabile che un passante possa accusare un malore, piuttosto che estrarre una pistola e spararci.
Anzi, ora ricordo che si proponevano pure lezioni di tiro con l'arco...ministro, ma a cosa serve ad uno studente il tiro con l'arco? Cioè, gli insegnanti dovranno assegnare crediti formativi in base a quanto uno sarà bravo a centrare il paglione? Ho capito bene?
Certo, avere una buona mira è determinante nella vita: aiuta a migliorare il genere umano, specie se di sesso maschile...forse sarà la volta buona che impareranno ad imbroccare il buco del water facendo pipì.

giovedì 17 marzo 2011

Viva l'I-taglia

Io oggi non festeggio.
Non festeggio perchè sento di non aver nulla da festeggiare.
Queste celebrazioni di facciata non le sopporto e, meno ancora, sopporto sentir parlare di Patria gente che la Patria non sa nemmeno cosa sia.
Individui che da decenni avvelenano la nostra politica facendosi i fatti propri, oggi sfilano per le piazze e ci fanno discorsoni intrisi di retorica e banalità.
Festeggiamo l'Unità d'Italia con al Governo un partito secessionista.
Vogliamo ricordare l'eroismo dei patrioti? Vogliamo commemorare i defunti? Va bene. Ma non parliamo di Patria, né di Unità.
Cosa resta oggi del Risorgimento e del sacrificio di molti?
Rispolverare vecchie glorie passate non cancella un presente ignominioso. Non è sufficiente.
Io amo il Paese e non riesco a fermarmi alla facciata di queste commemorazioni; non riesco a non riflettere sull'attualità preoccupante in cui versiamo.
Non tollero chi mi risponde:” Se non ti sta bene, vattene!” Di solito, chi lo dice è perchè ha, in una qualche misura, il culo coperto.
Andarsene è da vigliacchi; significherebbe consegnare il proprio Paese ai peggiori. Restare senza fare nulla è da suicidi.
Si può solo resistere. E credo che sia questo il vero patriottismo odierno.
Sentivo una passante intervistata in televisione dichiarare: “ Oggi siamo orgogliosi di essere italiani.” Perchè? Dico, perchè oggi dovremmo sentirci orgogliosi di essere italiani? Perchè oggi, 17 marzo, la gente si sente ( o dovrebbe sentirsi ) orgogliosa? Perchè 150 anni fa, persone di cui non sappiamo nulla ( visto che fino a ieri non le se le filava quasi nessuno ) si sono sacrificate per un ideale? Ma noi cosa c'entriamo con loro? Ne siamo forse i degni eredi?
Noi siamo un'altra Italia; un'altra storia che può, sì, ammirare i martiri; ma l'ammirazione fine a se stessa non serve.
Un concerto in piazza o una parata militare non sono ringraziamenti ai patrioti; sono pagliacciate ad effetto, slanci emotivi, gesti nostalgici. Se davvero vogliamo ringraziare quelle persone, diamoci da fare per ricostituire un'Italia degna di tale nome.
Io oggi non festeggio, perchè non trovo nulla da commemorare, se non il fallimento degli ideali risorgimentali.

venerdì 14 gennaio 2011

Vorrei qualcuno con cui poter parlare; qualcuno che possa capirmi. Esiste?
Molte volte mi sembra davvero di essere sola, di non avere nessuno con cui poter parlare seriamente. Ma sono così strana? Così diversa dal resto del mondo? Perché non riesco a trovare qualcuno con cui poter condividere dei discorsi decenti?

domenica 9 gennaio 2011

Sto male!

Vorrei riuscire a non pensare a niente. Sono stufa di stare male; di sentire su di me tutto il peso di questa esistenza. Sono stufa!
Ci sono momenti in cui penso che vorrei veramente finire qui la mia vita e mi domando che senso abbia andare avanti. Per fare cosa, per continuare a stare male? Per quanto ancora?
A volte penso di essere solo stressata e stanca, di aver bisogno di staccare la spina per un po'...ma da cosa? Dalla vita?
Non voglio proprio morire, solo dormire per un po', non rendermi conto di nulla per qualche tempo.
Sono stanca di svegliarmi piangendo ed andare a dormire piangendo, non ce la faccio più!
Mi sembra di non riuscire a trovare una ragione valida per cui alzarmi dal letto la mattina.
Ma che cazzo di vita è questa?!
Forse anche morire non sarebbe male.